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Gli studiosi dei contratti che non temono l’impopolarità

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premio nobel

Gli studiosi dei contratti che non temono l’impopolarità

Tradizionalmente gli economisti da Smith a Marshall, da Ricardo a Pareto si sono occupati di mercati, come funzionano e quando producono risultati efficienti. Ma anche nelle economie cosiddette “di mercato”, la maggior parte delle transazioni economiche non avviene in un mercato, ma è regolata da un contratto: il contratto di impiego, quello di locazione, quello di assicurazione, ecc. In genere, al momento della firma questi contratti sono inseriti in un mercato, ma poi vivono di vita propria.

Quando studiai all’università in Italia più di trent’anni fa, la parola “contratto” non compariva mai nelle mie classi di economia, ma solo in quelle di diritto. Proprio in quegli anni Oliver Hart e Bengt Holmström – i premi Nobel per l’Economia di quest’anno – stavano sviluppando quella che ora è conosciuta come la «teoria dei contratti» rivoluzionando non solo l’economia, ma anche il diritto.

Bengt Holmström è stato il pioniere nell’economia dei contratti tra un datore di lavoro e un dipendente (sia esso un manager o impiegato). Grazie a lui sappiamo che i manager dovrebbero essere compensati sulla base della performance relativa rispetto alla propria industria, e non per quella assoluta. Questo concetto sta lentamente penetrando nei comitati remunerazione, nonostante l’enorme resistenza dei manager, che vorrebbero essere compensati anche per la fortuna (per esempio variazioni favorevoli nel prezzo di mercato del petrolio), ma scusati per la sfortuna.

Holmström ha anche studiato la dinamica dei contratti: come i bonus futuri influenzino l’efficacia dei bonus odierni e come gli incentivi non siano solo monetari, ma anche reputazionali, per cui un giovane manager lavora più sodo per farsi conoscere, mentre uno più anziano può permettersi di prendersela più comoda perché non ha più molti anni di lavoro davanti a sé. Holmström ci ha anche messo in guardia contro l’uso eccessivo dei bonus in situazioni in cui un manager svolge vari compiti, diversamente misurabili. Il rischio è che un manager si focalizzi troppo sul compito che è più facile da misurare, che non necessariamente è il più importante.

Nonostante anche Oliver Hart abbia inizialmente lavorato nella teoria dei contratti, il suo contributo più importante è stato spiegare cosa succede quando i contratti non possono essere scritti (o i tempi per farli rispettare sono biblici come nel caso italiano). Hart dimostra che in queste situazioni è fondamentale il controllo sulle attività essenziali. Ad esempio la differenza tra un impiegato di General Motor (Gm) e un fornitore di Gm è data da chi controlla le macchine per produrre le parti fornite a Gm. Gm può licenziare un impiegato e privarlo dell’accesso alla fabbrica, ma non può privare un fornitore di accedere alla sua fabbrica e di produrre. Può solo smettere di acquistare da lui. Questa differenza di opzioni nel caso in cui ci sia una disputa tra acquirente e fornitore cambia gli incentivi del fornitore e quelli dell’acquirente. Grazie a quest’idea Hart e coautori sono stati in grado di spiegare perché alcune imprese sono verticalmente integrate e altre no. Sono anche stati in grado di spiegare perché il finanziamento di un’impresa con debito è fondamentalmente diverso da quello con equity: non è solo una questione di flussi di cassa, è una questione di chi detiene il controllo dell’impresa nelle varie possibili situazioni.

Come studente, co-autore ed amico, non posso omettere di menzionare la straordinaria onestà intellettuale di Oliver Hart. È indefesso nella ricerca della verità, pronto a difendere senza timore i risultati della sua analisi, anche quando questi risultati non sono popolari. Non ha paura di sfidare il senso comune, se la logica economica glielo suggerisce, ma è anche pronto a rivedere le sue opinioni sulla base dei contributi degli altri.

Nonostante i successi della sua teoria dei contratti incompleti, a seguito delle critiche ricevute da Maskin e Tirole (due economisti che hanno vinto il premio Nobel negli anni scorsi), ha ammesso la debolezza delle fondamenta economiche della sua teoria e ne ha create di nuove. Fa particolarmente piacere vedere il premio Nobel assegnato a persone che lo meritano così tanto non solo dal punto di vista scientifico, ma anche umano.

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