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La Sykes-Picot 2.0 di Russia e Stati Uniti

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L'Analisi|Scenari

La Sykes-Picot 2.0 di Russia e Stati Uniti

Ci riprovano: John Kerry e Sergey Lavrov ancora insieme in Svizzera a cercare una tregua. Ma non illudetevi: il massacro ad Aleppo durerà ancora un po’ e la guerra nel resto della Siria molto di più. Come dicono giustamente i francesi, maestri di cinismo (vedi Libia ed Egitto), dal primo tentativo non è cambiato niente perché il secondo possa avere successo.

Eppure un barlume di speranza c’è. Un seme forse è stato gettato nell’incontro di Losanna, non tanto per quello che alla fine verrà detto, quanto per il format dell’incontro: non solo i capi della diplomazia delle due solite grandi potenze, una riluttante e l’altra fin troppo attiva nel dimostrare d’esserlo, ma una tribuna più ampia. Stati Uniti e Russia, con Turchia, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Egitto, Qatar e Giordania, sono i naturali protagonisti di una eventuale pace in Siria e in Medio Oriente, quanto già lo sono dei conflitti.

In qualche modo è una Sykes-Picot rivisitata o, come si dice di questi tempi, una Sykes-Picot 2.0. Con la caduta di alcuni regimi e soprattutto la proclamazione del califfato dell’Isis a cavallo tra i confini di Siria e Iraq, si era stabilito che quell’accordo anglo-francese del 1916 sulle sfere d’influenza nella regione fosse decaduto. Non è così: giusto cento anni dopo, le frontiere che furono disegnate in quella mappa, prevedendo il disfacimento dell’impero ottomano quando la prima guerra mondiale era lontana dalla sua fine, servono ancora. Sono l’unica unità di misura, il punto fermo cui riferirsi per costruire un giorno la struttura di sicurezza collettiva che la regione non ha mai avuto nella sua storia contemporanea.

Quasi tutti i Paesi partecipanti sono un prodotto di Sykes-Picot: la Turchia come vittima designata di quella spartizione coloniale; l’Iran perché stabilendo i confini di quelle influenze europee, furono implicitamente riconosciuti i suoi; Arabia Saudita e Qatar sono nati sotto la protezione di Sykes-Picot; Siria e Iraq erano i soggetti principali e la Giordania non fu che un amusement geografico di Winston Churchill. A parte gli Stati Uniti, anche la Russia ha un legame con Sykes-Picot: la carta geografica firmata dai due alti funzionari di Londra e Parigi prevedeva anche una sfera d’influenza russa nel Nord Est del Levante. Se negli annali di storia a Sykes e Picot manca un nome russo è solo perché a un certo punto l’impero uscì sconfitto dalla guerra e fu travolto dalla rivoluzione bolscevica. In un certo senso il grande attivismo di Vladimir Putin in Medio Oriente è una rivendicazione: vuole ciò che di Sykes-Picot spettava alla Russia.

Dati i due fronti generici – gli sciiti con i russi, i sunniti con gli americani – nel grande caos attuale della regione le alleanze sono a geometria variabile. Dipendono dal soggetto per cui si combatte: la fine o la sopravvivenza del regime di Bashar Assad, l’Isis, l’indipendenza curda, la guerra di religione, il petrolio. Rivelatore del caos era qualche giorno fa il titolo di un post di Al Monitor, uno dei siti web più autorevoli sul Medio Oriente: «I turchi accusano Stati Uniti e Iran di incoraggiare Baghdad ad agire contro Ankara», in un sovrapporsi di alleati e di nemici. Un antico arabesco non saprebbe essere più creativo.

Per questo l’eredità centenaria di Sykes-Picot alla fine diventa per i partecipanti all’incontro di Losanna un’ancora di salvezza dalla quale è impossibile prescindere. Il caos di oggi non modificherà le frontiere che direttamente o indirettamente ha prodotto, ma ciò che c’era al loro interno. In un’intervista tutt’altro che ostile alla Pravda, Bashar Assad sostiene che la riconquista di Aleppo darà la spinta per la liberazione di tutta la Siria. Ma non è detto che i russi siano disposti a seguirlo fino a quell’obiettivo, in un’avanzata forse gloriosa, ma certamente sanguinosa ed economicamente troppo cara. In Siria, ma anche in Iraq e probabilmente in Libia, il vecchio stato centralizzato sarà superato da forme diverse di decentramento dei poteri. Chi non avrà nulla forse saranno una volta di più i curdi, vittime della realpolitik e della loro incapacità di superare le divisioni interne: per saperne di più, chiedere ai palestinesi.

Oltre alla lista dei partecipanti, è interessante anche quella degli assenti a Losanna. Non sono stati invitati il regime di Assad né gli oppositori, per dimostrare che la guerra in Siria è un conflitto che da tempo riguarda tanti, ma non i siriani. Né partecipano inglesi e francesi, eredi in linea diretta di Mark Sykes e François Georges-Picot: saranno informati più tardi da Kerry. Perché la storia si ripete, ma non in modo così banalmente uguale.

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