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Harvard premia i manager «made in Italy»

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Harvard premia i manager «made in Italy»

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Freda (Estée Lauder) entra tra i primi 30 ceo al mondo della Harvard business review. In classifica anche Rocca (Tenaris) e Colao (Vodafone). Nella foto la Harward Business School
Freda (Estée Lauder) entra tra i primi 30 ceo al mondo della Harvard business review. In classifica anche Rocca (Tenaris) e Colao (Vodafone). Nella foto la Harward Business School

Ieri sera a Washington, l’Ambasciatore Armando Varricchio ha offerto un pranzo per la visita di stato a Washington del Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Parterre misto, importanti personaggi politici, celebrità, direttori di testate come John Micklethwait di Bloomberg, ma anche manager, come Fabrizio Freda, ceo di Estée Lauder.
Per molti di noi Freda non è un household name. Ma Varricchio sa che Freda è uno dei migliori manager italiani in America. È balzato al 27esimo posto nella classifica 2016 dei migliori ad del mondo compilata dalla Harvard business review che sarà pubblicata a novembre.
In pochi anni Freda ha moltiplicato per 7 il valore del titolo Estée Lauder, ma ha anche trasformato l’azienda dei cosmetici, lanciando aggressive diversificazioni geografiche, in Cina,;settoriali, con una forte spinta nei profumi; e tecnologiche, con il lancio di nuovi strumenti interattivi e di una laboratorio dedicato all’economia digitale. Giusto che l’Ambasciatore Varricchio l’abbia identificato come uno dei simboli del successo italiano negli Usa.

C’è qualcosa di molto interessante tuttavia nella classifica della Harvard business review che non dovrebbe sfuggire al nostro presidente del Consiglio e a chi in Italia cerca di tenere il passo con l’economia globale. Freda è passato in tre anni dall’80esimo al 53esimo e ora al 27esimo posto. Ma in America, non in Italia, dove lavorava prima di andare all’estero. Non è il solo italiano in classifica. In buona compagnia con il numero uno, Lars Rebien Sorensen, di Novo Nordisk; Martin Sorrell, di Wpp al numero due; Pablo Isla di Inditex; Bernard Arnault al numero sette e Howard Schultz di Starbucks, primo degli americani al 14esimo posto; ci sono anche Paolo Rocca di Tenaris al 62esimo posto e Vittorio Colao di Vodafone, all’80esimo posto, a quattro punti di distanza da Jeff Bezos di Amazon.
Il denominatore comune di questi italiani di successo? Hanno tutti lasciato l’Italia per l’estero. Se le nostre università producono laureati brillanti a ogni livello, aziende e istituzione faticano a farli crescere. Anche perché gli altri in classifica hanno tutti più o meno fatto bene nel Paese d’origine, senza dover “emigrare” per cercare fortuna.

M. P.

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