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«Siamo indietro», Trump ammette le difficoltà

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L'Analisi|Scenari

«Siamo indietro», Trump ammette le difficoltà

Da oggi mancano due settimane esatte alla fine della corsa elettorale americana più controversa, difficile, spettacolare della storia recente. E a due settimane dall’appuntamento alle urne dell’8 novembre, Kellyanne Connway il manager della campagna di Trump ha ammesso di nuovo ieri le difficoltà per la corsa del tycoon del settore immobiliare: «Nei sondaggi siamo indietro – ha detto – non abbiamo la possibilità di spendere 66 milioni di dollari in pubblicità televisiva in stati chiave come ha fatto Hillary. Non abbiamo un presidente, una First Lady molto amata come Michelle Obama e un ex presidente a fare campagna per noi». In questa dichiarazione c’è la sintesi delle difficoltà di Trump, ma anche la spiegazione delle incursioni di Hillary Clinton in territori nemici, come la Carolina del Nord.

In un comizio a Railegh ha chiesto agli elettori di votare per un governatore democratico e di mandare a casa il senatore Richard Burr, che continua ad appoggiare Donald Trump in queste elezioni. L’essere alleati di Trump diventa un peso. Soprattutto quando la leadership repubblicana, a partire dal presidente della Camera Paul Ryan, ha preso le distanze da un candidato sempre più imbarazzante. Hillary si è anche incontrata con Sadra Bland e Maria Hamilton, sono membri del gruppo Mothers Movement, un movimento che raccoglie madri che hanno perso i loro figli in un confronto con la polizia. In questo caso l’obiettivo è di mobilitare il voto afroamericano, che in Carolina del Nord potrebbe fare la differenza e di incoraggiare quanti più afroamericani possibile ad iscriversi alle liste elettorali e soprattutto ad andare a votare. Ieri Hillary è anche andata in Florida, a Coconout Creek, per mobilitare uno stato che sembrava incerto ma che oggi è schierato con lei con una maggioranza di appena 3,8 punti. E in Florida Hillary cerca di mobilitare anche il voto latinoamericano. L’obiettivo sempre più chiaro diventa dunque quello di mettere al sicuro un vantaggio di 12 punti su base nazionale secondo il sondaggio più recente di ABC Washington Post, ma anche di contribuire a quella ache potrebbe essere una vera rivoluzione elettorale, conquistare oltre alla Casa Bianca il Senato e persino, se le cose andranno davvero bene con il voto popolare, la Camera.

Oggi secondo i più recenti sondaggi a livello statale, Hillary Clinton avrebbe già in tasca una maggioranza di 303 voti elettorali. Per vincere la Casa Bianca ne bastano 270. Per Trump ci sarebbeo soltanto 170 voti elettorali. Nelle elezioni americane infatti non conta il voto popolare, ma quello dei singoli stati. Ciascuno stato ha a disposizione un serbatoio di “voti elettorali” sul totale dei 538 voti elettorali complessivi. Diventa dunque essenziale vincere negli stati chiave come l’Ohio, la Florida, la Pennsylvania, stati con una buona maggioranza di indipendenti che di volt in volta scelgono partiti e candidate diversi. Altri stati, New York o la California ad esempio, sono solidamente democratici e altri ancora come l’Arizona e il Texas sono solidamente repubblicani. In queste elezioni però dopo gli scivoloni di Trump nei dibattiti, nelle prese di posizione provocatorie, nei video scandalo che hanno confermato come la pensa nei confronti delle donne, anche stati chiave repubblicani cone l’Arizona diventano terreno di caccia per i democratici e persino il Texas, roccaforte repubblicana diventa incerto per Trump: ha schierati contro di lui gli ex presidenti George W. Bush e George H. Bush e il senatore Ted Cruz, arrivato secono nella corsa per la nomination. Formalmente Cruz ha deciso di appoggiare Trump, ma lo ha fatto solo nelle ultime settimane e la sua base resta schierata contro il candidato newyorchese.

Tornando alle dichiarazioni iniziali, se la campagna di Trump è pessimista sulle possibilità di ribaltare una situazione sulla carta negative la spiegazione è da trovarsi anche nell'idea del candidato più populista degli ultimi anni di farcela da solo, senza raggiungere un compromesso con la leadership del Congresso, senza aprire a chi rappresenta altre correnti di pensiero nel partito. Quello di Trump è l’atteggiamento di un “narcisista patologico” come lo ha definito una squadra di analisti. Per lui c’è sempre la speranza che i sondaggi siano sbagliati, che l’elettorato si ribelli a chi organizza una campagna poggiando sui “poteri forti”. Ma il potere forte per Hillary è quello dell’unità del partito: ieri a fare comizio per lei in tutta America c’erano personaggi amati sul piano nazionale da Chelsea Clinton sua figlia, a Michelle Obama al senatore Elizabeth Warren a moltri altri politici di primo livello e personaggi del mondo dello spettacolo come Jennifer Lopez. Trump ieri ha fatto campagna da solo, soprattutto in Florida.

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