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Le instabilità, le crisi e il governo dell’economia

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Le instabilità, le crisi e il governo dell’economia

I cicli dell’economia sono al centro del quarto appuntamento con la collana “Come si legge Il Sole 24 Ore. Conoscere l’economia con il quotidiano”, in edicola domani, 27 ottobre con il titolo “La crisi e la ripresa”.

Una caratteristica essenziale del capitalismo è l’instabilità. Questo sistema economico ha moltiplicato per più di 10 volte il reddito medio procapite in termini reali degli abitanti del globo, dopo millenni di tendenziale ristagno. Ma d’altro canto, come scrive Pierluigi Ciocca in «La banca che ci manca», «si è dimostrato iniquo nella distribuzione del reddito e della ricchezza, come pure inquinante, lesivo dell’ambiente... (e) altamente instabile». Una messa in stato d’accusa che già Keynes aveva formulato: «Il capitalismo decadente – internazionale ma individualistico – nelle cui mani ci troviamo dopo la guerra non è un successo. Non è razionale. Non è bello. Non è giusto. E non ci dà quel che dovrebbe darci». Ma è l’instabilità la fattezza più preoccupante – instabilità dell’attività produttiva, dell’occupazione e della disoccupazione, dei prezzi ; euforie e crolli dei mercati di Borsa; perdite e fallimenti di banche e intermediari finanziari... L’instabilità è una grossa spina nella rosa del capitalismo. «La difesa dall’instabilità - scrive ancora Ciocca - è quindi questione cruciale nel governo di un’economia di mercato capitalistica, nell’assicurarne la stessa sopravvivenza».

L’economia, insomma, ha bisogno di un “governo”. Il più recente episodio di instabilità ha costretto la politica economica a interrogarsi sui suoi fondamenti teorici e sulle sue applicazioni pratiche. La Grande recessione, un epocale sommovimento che per la prima volta dal dopoguerra ha arrestato la crescita planetaria, ha avuto origine nella finanza (anche se a sua volta dietro le pazzie dei mutui subprime c’erano degli scompensi reali) e sono state le Banche centrali – da sempre situate su quella scivolosa cerniera che unisce la finanza all’economia – a trovarsi in prima linea lungo la trincea fiammeggiante di quella crisi.

Quale deve essere il compito della politica economica nel contrastare le crisi? Keynes scrisse: «La politica economica non dovrebbe essere qualcosa che sradica una pianta, ma che la guida lentamente a crescere in una direzione diversa». Ma con l’urto inatteso e massivo della Grande recessione la politica economica ha dovuto reagire “non lentamente” e lo ha fatto sia con la politica di bilancio (che tuttavia ha portato agli “effetti collaterali” di deficit e debiti) che con la politica monetaria, che si è avventurata nelle “terre incognite” dei tassi a zero e dell’espansione quantitativa della moneta.

Lungo questi sentieri inesplorati la Federal Reserve è stata più rapida della Banca centrale europea. Lo statuto della Bce non permette di svolgere in prima battuta il compito di supporto all’economia (il suo mandato si limita alla stabilità dei prezzi, a differenza del “mandato duale” della Fed, che aggiunge la “massima occupazione”). E contiene una proibizione assoluta di finanziare i Governi sul mercato primario. Willem Buiter – un ex banchiere centrale della Bank of England) ha scritto: «La proibizione a tappeto dei prestiti diretti ai governi è una completa idiozia. Questo è quello che devono fare le Banche centrali. Non si deve rinunciare a questo strumento solo perché può essere mal gestito. Si può annegare nell’acqua, ma questo non vuol dire che non potete averne un bicchiere quando avete sete». La Bce tuttavia, non senza attirarsi gli strali dei benpensanti, alla fine ha usato della sua illimitata “potenza di fuoco” per acquistare titoli di Stato (e anche privati) sul mercato secondario. Crisi e politiche anti-crisi. Gli ultimi anni hanno scritto nuove pagine su come sorgono e come si fronteggiano le crisi economiche. Un capitolo di teoria e di pratica che è ancora un “lavoro in corso”.

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