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Più capitali all’economia

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Più capitali all’economia

Tutti gli indicatori internazionali sembrano volgere al peggio. Rispetto ad aprile, il Fondo monetario internazionale (Fmi) nel suo World economic outlook di luglio ha rivisto le previsioni di crescita sia a livello mondiale per l’anno in corso (+3,1%, in calo dello 0,1%), che per l’Eurozona il prossimo anno (+1,4%, in flessione dello 0,2%). L’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), prevede per il 2016 una riduzione della crescita mondiale degli scambi (+1,7% rispetto al +2,8% stimato a inizio anno), mentre, rispetto al 31 dicembre 2015, sui mercati finanziari regna l’incertezza (l’indice Eurostoxx 50 ha perso il 7% e il Ftse Mib il 19%). Il sistema bancario è in affanno, in particolare quello italiano con un carico di sofferenze stimato, al netto, di 90 miliardi di euro.

A questo quadro di bassa crescita, bassissima inflazione e crisi dei mercati finanziari si aggiungono numerosi focolai di guerra e crescono povertà, disoccupazione e disuguaglianze sociali. Le analisi di autorevoli economisti parlano di una frenata dell’innovazione tecnologica e quindi di una riduzione della produttività che si scarica quasi esclusivamente sui salari per recuperare competitività di prezzo; altri incolpano la mancata estensione di accordi commerciali come il Ttip; altri indicano nella globalizzazione la causa profonda di questo quadro negativo. Per finire, una politica monetaria espansiva iniziata prima dalla Federal Reserve, dalla Bank of England e dalla Bank of Japan e in ultimo dal quantitative easing della Bce ha mostrato i suoi naturali limiti, rischiando di produrre paradossi come la crisi delle banche che, con tassi di interesse così bassi, non riusciranno più ad avere conti in ordine se non rivolgendosi all’industria finanziaria. Sia detto con chiarezza che queste politiche monetarie espansive erano necessarie e sarebbero state utilissime quando fossero state limitate nel tempo e se fossero state corroborate da riforme e nuove politiche economiche.

Ma la causa profonda di questo malessere dell’economia internazionale non è la globalizzazione, che ha fatto uscire dalla povertà assoluta centinaia di milioni di persone, ma la finanziarizzazione dell’economia. La finanza era una infrastruttura al servizio della produzione di beni e servizi la cui diffusione è la condizione del benessere delle popolazioni. Dalla metà degli anni 80, con ritmo prima modesto e poi tumultuoso a partire dalla metà degli anni 90, la finanza è diventata una industria a se stante grazie alla sua ingegnerizzazione e alla deregolamentazione dei mercati. L’economia reale si è vista privare di una parte significativa di risorse e di risparmio attratti sempre più dall’industria finanziaria e dai suoi profitti irragionevoli.

Se questo è vero, le cose da fare sono poche e chiare. Va finalmente deciso di privilegiare l’uso produttivo del capitale rispetto al suo uso finanziario. Questo sarà possibile innanzitutto con politiche fiscali e vincoli normativi che agevolino l’uso produttivo del risparmio gestito a cui deve aggiungersi una profonda riforma dei mercati finanziari. Questa riforma dovrebbe prevedere la separazione tra banche commerciali e banche d’affari e alcuni divieti come la vendita allo scoperto, la diffusione di prodotti finanziari nel mercato retail del sistema bancario, e la diffusione dei prodotti finanziari al di fuori dei mercati regolamentati quando a fare il prezzo sono le poche agenzie di rating i cui proprietari sono protagonisti di spicco degli stessi mercati finanziari (peraltro le statistiche dicono che quanto più aumenta il tasso di finanziarizzazione di una economia, minore è il suo tasso di crescita).

È questo il tema centrale da mettere innanzitutto nell’agenda europea, perché se non si dovesse arrivare alla riforma dei mercati finanziari e alla discesa graduale della finanziarizzazione, le economie mondiali cadrebbero nella trappola della grande liquidità. Una liquidità che ha raggiunto livelli inimmaginabili, alimentando questo figlio drogato dell’economia di mercato che è il capitalismo finanziario fonte a sua volta di una immensa ricchezza elitaria e di una grande povertà di massa con crescenti disuguaglianze sociali e con la decadenza del ceto medio delle grandi democrazie occidentali. Questo stato di cose si trasferirà sul terreno politico, invertendo l’equilibrio di potere tra un Occidente democratico e un Oriente largamente autoritario del pianeta e alimenterà in Occidente movimenti di protesta e, se non fermato a tempo, approderà a uno scoppio di una terribile bolla finanziaria dagli effetti sociali mondiali imprevedibili.

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