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Utilities, la leva della sostenibilità

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Italia

Utilities, la leva della sostenibilità

Le politiche di sostenibilità continuano la lenta, ma inesorabile, conquista di centralità nelle strategie globali, tanto finanziarie quanto aziendali. Nell’agenda internazionale hanno, ormai, un rilevante peso specifico. Non più tardi di due settimane fa è stato raggiunto a Kigali, capitale del Ruanda, un accordo di portata storica tra quasi 200 Paesi per la riduzione dei gas serra nell’arco temporale tra il 2019 (inizio del vincolo per Europa e Usa) e il 2029 (avvio dell’impegno per India e Paesi orientali). Ora, dopo la diffusione dei nuovi, preoccupanti dati sul clima avvenuta nei giorni scorsi, si guarda a Marrakech, dove il 7 novembre inizierà la Conferenza Cop 22, erede di quella di Parigi del 2015, finora ratificata da 80 Paesi e di imminente entrata in vigore (la data prevista è il 4 novembre).

Anche le politiche nazionali seguono il trend, sia pure con la proverbiale lentezza del nostro iter legislativo: è annunciato in dirittura il disegno di legge per la ratifica dell’intesa Cop 21, mentre è pronta per l’esame preliminare del Consiglio dei ministri la bozza di decreto di attuazione della direttiva Ue 95/2014 sulla rendicontazione non finanziaria per le grandi imprese e le società quotate.

I passi avanti più marcati nell’ultimo periodo non giungono, tuttavia, dalle politiche pubbliche, ma dalla sfera dell’iniziativa privata. Da un lato, infatti, il tema degli investimenti sostenibili ha definitivamente conquistato l’industria finanziaria, diventando un vero e proprio mainstream dell’offerta degli operatori, sia internazionali che domestici, sia grandi che piccoli.

D’altro lato, nel mondo delle imprese, il tema della sostenibilità viene sempre più spesso gestito direttamente dal vertice aziendale, in chiave di sviluppo strategico e non più (solo) come leva di marketing o asset reputazionale. Si assiste, così, a una declinazione riveduta e corretta di quella che fino a poco tempo fa si chiamava – e spesso ancora si chiama – responsabilità sociale d’impresa, con un’impronta in definitiva più pragmatica, finalizzata ad assicurare e a creare valore tangibile e intangibile nel medio-lungo termine.

Un esempio interessante di questa evoluzione della Csr è stato offerto pochi giorni fa dalla pubblicazione di uno studio di Utilitatis, la fondazione di ricerca di Utilitalia, federazione delle circa 500 imprese energetiche, idriche e ambientali del nostro Paese. L’analisi ha messo a fuoco l’impegno delle associate nelle politiche di sostenibilità, prendendo in considerazione un ampio set di indicatori caratteristici dei bilanci sociali. Giunta alla seconda edizione, l’indagine ha potuto contare sull’apporto di un campione ancora numericamente piccolo, ma decisamente significativo, perché comprensivo dei maggiori operatori, quotati e non, con ricavi per oltre 18 miliardi e con impatto diretto sulla vita quotidiana della maggioranza degli italiani.

Dal ricorso a fornitori locali fino all’utilizzo di mezzi a basso impatto ambientale, tutti i principali indicatori rilevati fanno segnare progressi di rilievo rispetto alla prima edizione. Non solo: nel 65% dei casi il bilancio di sostenibilità viene approvato direttamente dal consiglio d’amministrazione, a riprova del valore strategico ormai attribuito a queste pratiche. Un risultato che Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia oltre che della multiutility A2A, commenta rilevando come «tutela dell’ambiente, attenzione alle persone, solidarietà sono i pilastri irrinunciabili di un’impresa che voglia sopravvivere nel lungo periodo».

Secondo Valotti, nel contesto odierno «è sempre meno definito il confine tra impresa profit e non profit». Nel primo caso, infatti, «il profitto non è più un parametro sufficiente a esaurire il fine dell’impresa», mentre nel secondo «l’efficienza è diventata la condizione stessa per realizzare la missione nel lungo periodo». Tutte le organizzazioni, dunque, «si devono preoccupare di accrescere il valore delle risorse che impiegano, ma soprattutto di redistribuire tale valore tra i principali stakeholders».

Sullo sfondo di questa riflessione emerge una concezione di impresa fondata sulla ricerca di un profitto di qualità, capace di generare valore per tutti i portatori di interesse, in primis i cittadini. Un segnale incoraggiante, se si considera che giunge da un settore, come quello delle utilities, legato a doppio filo alla qualità della vita e all’equità sociale.

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