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Come orientarsi sui numeri del lavoro

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L'Analisi|Interventi

Come orientarsi sui numeri del lavoro

Gli aggiornamenti dell’Inps su avviamenti e cessazioni nei primi 8 mesi del 2016, che non tornano con l’incremento del numero di occupati annunciato dall’Istat qualche settimana fa, hanno riacceso le polemiche sui dati veri sul lavoro.

Alla base del problema sono dati, quelli sullo stock di occupati e disoccupati di fonte Istat e quelli sui flussi di lavoratori in entrata e in uscita di fonte Inps e ministero del Lavoro, che non si parlano: la variazione dello stock di occupati non corrisponde al saldo tra le assunzioni e le cessazioni avvenute nel periodo. I motivi sono più di uno.

I soggetti diversi da cui provengono i dati: il numero di occupati si stima da informazioni raccolte da un’indagine su un campione di famiglie (lato offerta), i flussi si ricavano da dichiarazioni delle imprese (lato domanda);

Gli ambiti di riferimento non coincidenti: per l’Istat è l’intera platea di occupati, mentre dal monitoraggio dei flussi di entrata e uscita di Inps e ministero del Lavoro esclude certi settori e alcune tipologie contrattuali;

Le unità di misura differenti: ogni occupato contabilizzato dall’Istat può essere coinvolto in più avviamenti e cessazioni nel periodo (ad esempio se è un lavoratore a termine).

Apprezzo che Istat, Inps e ministero del Lavoro abbiano annunciato un comunicato congiunto con cui dare una lettura articolata dell’insieme dei dati disponibili; nell’attesa è utile qualche considerazione su quali siano i dati “giusti”.

Il trend dell’occupazione emerge in modo più realistico guardando l’evoluzione dello stock di occupati stimato dall’Istat: il loro numero nel II trimestre 2016 risultava più alto di 12 mesi prima (+439mila in Italia e +117mila in Lombardia). Non si può dire in che misura dipenda dall’introduzione del Jobs Act, dalla decontribuzione o dalla crescita economica, ma l’aumento degli occupati è oggettivo.

Il flusso di contratti creati e cessati aggiunge informazioni utili. Dice ad esempio del sensibile rallentamento delle assunzioni del 2016 rispetto al 2015: nei primi 8 mesi -350mila in Italia (-8,5%) e -77mila in Lombardia (-9,8%). Il decremento determina un arretramento rispetto al trend di crescita dell’anno prima: +400mila assunzioni in Italia (+10,6%) e +110mila in Lombardia (+16,3%).

Sul trend delle assunzioni complessive ha chiaramente inciso la variazione delle assunzioni a tempo indeterminato che, rispetto al totale, nel 2015 hanno registrato incrementi superiori (+38,4% in Italia e +43,2% in Lombardia) e nel 2016 hanno rallentato di più (-33% Italia e -28% in Lombardia). C’è sicuramente un collegamento con l’introduzione degli incentivi all’assunzione a tempo indeterminato a inizio 2015 e il ridimensionamento dei vantaggi da gennaio 2016, ma anche un effetto di progressivo esaurimento dei fabbisogni delle imprese.

Con minori incentivi, le assunzioni a tempo indeterminato tra gennaio e agosto 2016 in Italia sono state addirittura meno di quelle del corrispondente periodo 2014, ma nelle aree economicamente più forti, come la Lombardia, i contratti a tempo indeterminato creati nel 2016 (168mila) rimangono superiori a quelli del 2014 (163mila).

Il risultato non sorprende: la decontribuzione doveva solo favorire l’avvio del processo, ma la crescita avrebbe dovuto fare da volàno, perché il lavoro non si crea per decreto.

Gli incentivi hanno comunque avuto il merito di favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro: le Comunicazioni obbligatorie evidenziano che la quota di apprendisti “transitata” verso un contratto a tempo indeterminato a distanza di 6 mesi è salita dal 40% del 2014 al 53% del 2015; la quota di tirocinanti stabilizzati è balzata dal 3% al 12%.

La globalizzazione dei mercati ci obbliga comunque a convivere anche con forme di lavoro diverse dal tempo indeterminato e non necessariamente le dinamiche sono contrapposte: l’Osservatorio Assolombarda Agenzie per il Lavoro nel nostro territorio ha registrato l’incremento delle richieste di lavoratori in somministrazione contemporaneamente al boom di assunzioni a tempo indeterminato.

Sono due i driver che possono davvero far cambiar passo al mercato del lavoro: Digital manufacturing e recupero dei giovani senza lavoro.

La rivoluzione tecnologica può far aumentare i posti di lavoro nel manifatturiero europeo di 2,5 milioni: è quindi decisivo adottare politiche di formazione che sviluppino competenze adeguate nei giovani, i veri motori del 4.0. La strada per farlo è l’affiancamento della formazione nei luoghi di lavoro: l’esperienza degli Its va nella direzione giusta per ridurre il gap rispetto alla Germania, ma per ora gli studenti iscritti sono 5mila (di cui mille in Lombardia) rispetto agli 800mila delle Fachhochschulen tedesche.

Migliorare la transizione scuola-lavoro consenta il prezioso recupero di tanti giovani ora ai margini del mercato del lavoro. Si stima che la divergenza tra profili richiesti e competenze sia la causa del 40% dei giovani disoccupati; a questi vanno aggiunti tutti quei giovani senza lavoro di cui le statistiche parlano poco, quei Neet “inattivi” non conteggiati tra i disoccupati solo perché il lavoro non lo cercano attivamente. In Lombardia le politiche di supporto all’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro – Garanzia Giovani e Dote Unica del Lavoro – hanno raggiunto risultati positivi.

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