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Il cambio di passo che serve per ripartire

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L'Editoriale|l’analisi

Il cambio di passo che serve per ripartire

Una corsia preferenziale, dedicata e distinta, per consentire alle imprese di continuare l’attività senza interruzioni, ove possibile, o di rimetterla in piedi il prima possibile, senza perdere ordini, clienti, forza lavoro qualificata e legata al territorio.

Questo - la continuità della vita economica e una risposta rapidissima all’emergenza - è quel che serve per evitare il rischio di desertificazione nelle aree delle Marche, dell’Umbria, del reatino e dell’Alto Aterno abruzzese colpite dai terremoti di questi mesi. E questa sembra essere l’intenzione del governo che entro venerdì ha promesso di varare un nuovo decreto legge proprio per semplificare e accelerare le procedure amministrative legate all’emergenza e alla ricostruzione.

Bisognerà leggere il testo delle norme per capire se veramente le semplificazioni in arrivo saranno sufficienti per eliminare ostacoli burocratici superflui a chi ha voglia di rimettersi in piedi subito. Ma lo spirito è quello giusto: dopo la maxiscossa 6.5 di domenica scorsa è emersa più chiaramente (e rapidamente) una volontà di ascolto dei territori e delle loro esigenze per disegnare una strategia che rifiuti l’abbandono e punti invece a valorizzare le attività sul posto anche nel momento della grande difficoltà. Un cambio di passo sicuramente apprezzabile che ora va compiuto con le misure necessarie.

Sappiamo che la battaglia contro la burocrazia spesso è difficile e presenta mille facce, ma oggi c’è consapevolezza diffusa che, in questo caso, la semplificazione è una scelta decisiva per non chiudere, per ripartire bene e velocemente, per mantenere quel legame che si esprime nel triangolo vitale e magico fra persone, lavoro e territorio.

I container sono una prima risposta a chi non vuole andare via. Allo stesso modo bisogna consentire alle imprese di riparare velocemente le strutture lesionate non gravemente, senza attardarsi in verifiche e autorizzazioni superflue, o di spostare altrettanto velocemente macchinari in stabilimenti vicini, se questo facilita la ripresa della produzione in tempi rapidissimi. Si facciano – o si consenta che si facciano - subito le verifiche puntuali e rapide necessarie per controllare il grado di sicurezza delle strutture e non ci si attardi nell’idea che la sicurezza possa essere garantita dalla lungaggini della burocrazia o, peggio, si identifichi in esse. L’errore da evitare è proprio quello di confondere sicurezza e burocrazia.

Una considerazione a sé merita il turismo che in queste zone non di rado è l’attività prevalente ed è strettamente connesso e intrecciato alla qualità della vita espressa nelle produzioni industriali, artigianali e agro-industriali. Anche per sostenere il turismo, la politica deve essere la stessa: delineare, perimetrare, definire le zone colpite dal terremoto aiuta non soltanto a distinguere ciò che si deve fermare da ciò che può e deve andare avanti, ma anche a evitare che si creino danni indotti a chi non ha subito alcuna lesione dal terremoto.

Bisogna evitare, in altre parole, che si faccia di tutta l’erba un fascio e che passi il messaggio che intere zone, intere province o addirittura intere regioni subiscano un disagio, una paralisi, un rallentamento o una penalizzazione quando le zone effettivamente colpite sono molto più limitate. Il turismo vive di reputazione e questa reputazione va difesa da speculazioni o anche solo da messaggi fuorvianti che possono fare il giro del mondo e creare molti danni.

Va difesa la reputazione della cultura, della buona cucina, della tradizione, dei prodotti di qualità, dalle scarpe alle pelli, dall’alimentare alla meccanica, che hanno fatto di queste zone un'eccellenza italiana. E la migliore difesa è rimettere in moto tutto questo subito.

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