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Il femminismo di Tina Anselmi

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addii 1927 - 2016

Il femminismo di Tina Anselmi

(Ansa)
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Con Tina Anselmi se ne va un altro pezzo di prima Repubblica. Il cordoglio unanime tende a mettere in ombra l’opportunità di cogliere questa occasione per riconsiderare in maniera più attenta una parte importante della nostra storia.

Rappresentare la vicenda della Anselmi come una specie di filo moralistico ininterrotto dall'esordio come staffetta partigiana alla presidenza della Commissione d'inchiesta sulla P2 rischia di darne una rappresentazione iconografica e scolastica.Invece dietro questa storia c'è un momento importante dell'evoluzione del femminismo cattolico. La scelta resistenziale della giovanissima Anselmi (aveva 17 anni) si colloca nel suo Veneto e riflette non un momentaneo rifiuto della violenza nazifascista, ma un ingresso nella vita politica che continuerà attraverso l'associazionismo femminile cattolico che la porta ben presto a militare nel sindacato dove rimane fino al 1955 raggiungendo posizioni di rilievo. Al tempo stesso lavora nel movimento femminile della Dc, per certi versi nel circuito di formazione che promuove Elsa Conci. Non è affatto una posizione di semplice fiancheggiamento in chiave subordinata dell'universo maschile del partito. Anselmi è una figura di rilievo: al congresso di Firenze del 1959, quello che consacra Moro e la sua proposta di avvio della apertura a sinistra, firmerà assieme al segretario la mozione principale ed entrerà nel Consiglio nazionale del partito. Nel 1958-1961 assumerà un ruolo centrale nel movimento femminile e in quello giovanile. Come la Conci più anziana e come le sue coetanee queste donne rivendicheranno con orgoglio il ruolo femminile, la centralità della conquista del voto alle donne, l'importanza del ruolo di genere nella costruzione della democrazia italiana.Non c'è alcuna ideologia della donna tutta casa e famiglia, ancella del focolare, in queste persone che partecipano a pieno titolo alla vita politica e che rivendicano il loro diritto a farlo. Non vengono da chissà quale esperienza internazionale, vengono dal cuore delle regioni cattoliche, a testimonianza della natura complessa della Dc e della sua modernità.Nel 1968, entrata per la prima volta in Parlamento, pubblicherà sulla rivista del movimento femminile un articolo sul rapporto tra Costituzione e voto alle donne. Quando, dopo essere stata sottosegretario, diventerà nel 1976 la prima donna a ricoprire la carica di ministro non avverrà per un rituale ossequio alla quota rosa (non erano i tempi), ma nel contesto di quella specifica contingenza politica: è il governo che deve in qualche modo aprire alla presa in considerazione di un diverso rapporto col Pci dopo il suo successo elettorale. Andreotti è stato scelto dal partito come garanzia verso la destra, Tina Anselmi fa parte della pattuglia che rappresenta la continuità della presenza del progressismo cattolico. Lo testimonierà nella sua azione come ministro del Lavoro con le normative sulle pari opportunità, così come quando in successivi governi Andreotti assumerà il ministero della Salute lavorerà a fondo nella creazione del Servizio sanitario nazionale.Si tratta sempre di indirizzi di politica sociale che hanno un retroterra di riflessioni e di studi tanto nella Dc quanto nel più ampio contesto del mondo cattolico, che ha ormai una storia consolidata in questi ambiti.Tutto questo fa parte della complessità della vita politica nella prima repubblica, fatta certo anche di storici steccati (che peraltro andavano sempre più dissolvendosi) ma anche di coraggiosa competizione per il meglio fra dei partiti che, almeno sino ad una certa fase, rappresentavano dei “mondi” orgogliosi dei propri valori e con l'ambizione di saper interpretare quell'evoluzione dei tempi di cui almeno i loro esponenti migliori erano perfettamente consapevoli.In questo quadro va letto il lavoro che fra il 1981 e il 1985 Tina Anselmi accettò di svolgere come presidente della Commissione d'inchiesta sulla Loggia P2. In quel caso si trattava proprio di reagire ad una deriva corruttiva che stava prendendo piede all'interno del sistema politico italiano. Era qualcosa di più e di diverso dalle disinvolture (chiamiamole così) in cui potevano cadere lotte politiche spesso molto aspre, perché si trattava di un progetto di manipolazione del formarsi delle egemonie politiche che si voleva si basasse anziché sulla competizione fra orientamenti su una cogestione spartitoria dei ruoli decisionali.Su quello spartiacque si sarebbe combattuta l'ultima battaglia politica di Tina Anselmi, battaglia che, al di là delle riduzioni a questioni moralistiche, aveva l'obiettivo di prosciugare l'acqua del clientelismo in cui stavano affogando le antiche organizzazioni dei nostri “mondi politici”.

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