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Quando l’imprenditore ha il coraggio di denunciare

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Italia

Quando l’imprenditore ha il coraggio di denunciare

L’ordine che la rappresentante legale di Baker Hughes Italia srl, impartisce il 2 novembre 2012 per telefono al suo caposquadra è perentorio: «Evacuare il personale». L’ordine, di istinto, rabbia e orgoglio, non era legato a un’emergenza sanitaria o al rischio di trovarsi in mezzo a una guerriglia o ancora al pericolo di una catastrofe ambientale. Più semplicemente – meglio, più drammaticamente – quella frase esprimeva la volontà di non piegare la testa e di non voler pagare il pizzo alla ’ndrangheta crotonese. Una lezione per tutti gli imprenditori che non riescono a trovare il coraggio di denunciare.

Lo scenario, dunque, non è Haiti, Siria o Filippine ma Belvedere Spinello, un paese di poco più di duemila anime devastato dalle cosche, dove Syndial, una società dell’Eni, gestisce la miniera di salgemma di Timpa del Salto, di cui Baker Hughes Italia, di stanza a Cepagatti (Pescara), cura una serie di lavori di manutenzione.

La richiesta – il 10% dei lavori da eseguire, molto al di sopra della regola del 3% che di solito accoglie chi vuole operare al sud – non solo è stata rifiutata, ma la successiva denuncia alle autorità giudiziarie ha aggiunto un tassello all’indagine Six Towns condotta poche settimane fa dai Carabinieri del Comando provinciale di Crotone (agli ordini del colonnello Salvatore Gagliano e dalla Squadra mobile e della divisione Anticrimine di Catanzaro guidata da Antonino De Santis).

L’operazione della Dda di Catanzaro (curata dal capo Nicola Gratteri e dai pm Salvatore Luberto e Domenico Guarascio) ha portato all’arresto di 36 persone, tra capi e gregari, affiliati alla famiglia Marrazzo, attiva nella provincia di Crotone e con ramificazioni nella provincia di Cosenza e in Lombardia.

Del resto, la società italiana espressione della multinazionale texana del settore petrolifero Baker Hughes – di stanza a Houston, in Texas, con un fatturato 2013 di oltre 22 miliardi di dollari, presente in 90 Paesi con 35mila dipendenti – non poteva non tener fede ai cinque valori fondamentali scolpiti nella carta dei valori della casa madre: integrità, gioco di squadra, risultati, capacità d’ascolto e coraggio. E così è stato. Il caposquadra dei lavori non è arretrato di fronte a quell’uomo che, parlando un ottimo italiano seppur con accento calabrese, in un bar di un’area di servizio gli aveva detto: «Voi venite dal nord con i vostri bei contratti e con i vostri bei soldi, ma qui le cose sono diverse. Qui tutti dobbiamo mangiare. Quindi da questo momento, oltre i due camion che sono partiti poco fa, da qua non si muove più niente fino a quando non viene giù chi di dovere a parlare con noi». Seppur spaventato, non era arretrato di fronte a chi, battendosi con la mano sulla cintura per far intendere di essere armato, gli intimava: «Mi raccomando, la Polizia non deve sapere niente, altrimenti...». Seppur frastornato, il caposquadra fece tesoro di quell’ultima frase: «Tu devi girare il mio messaggio a chi di dovere e mi devi portare una risposta entro domani a mezzogiorno».

La risposta è arrivata in giornata con una denuncia all’autorità giudiziaria e, del resto, il gioco di squadra era stato più ampio. Un’altra società per azioni, la Halliburton Italiana con sede legale in Ortona (Chieti), incaricata dal 2011 di chiudere e mettere in sicurezza 12 pozzi di estrazione di salgemma presso l’area mineraria, era stata avvicinata dalla cosca di ’ndrangheta di Belvedere Spinello. Anche qui – filiale della multinazionale texana con sede a Houston, specializzata nei lavori e nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi, presente in 120 Paesi di tutto il mondo e della quale dal 1995 al 2000 è stato presidente e Ceo l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney – era giunta la stessa minaccia: «Qui di solito funziona così. Bloccano i camion e fermano i lavori fino a quando non viene qualcuno da sopra per trovare un accordo. Bisogna dare il 10% del valore del progetto».

Anche nei confronti della società Halliburton le minacce, denunciate all’autorità giudiziaria, erano pesantissime. Uno dei dipendenti si era sentito dire: «Ci sono molti padri di famiglia che campano sulla miniera». Pochi giorni dopo, il 16 gennaio 2013, allo stesso dipendente, mentre si trovava a Cipro per lavoro, giunse sul cellulare aziendale una telefonata da un individuo presentatosi come Giancarlo che testualmente gli disse: «Siccome non sei stato di parola vorrà dire che adesso riceverai un bel regalino a casa». Dopo avere ultimato i lavori commissionati alla ditta e dopo la vista di una pistola infilata nella cintura dei pantaloni mostrata da un uomo a un altro dipendente, tra il 4 e il 5 giugno 2013, dirigenti, funzionari e operai hanno lasciato la miniera e fatto rientro definitivo a Ortona.

Anche questa una lezione.

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