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Le competenze dipendono dal merito non dal genere

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Cultura & Società

Le competenze dipendono dal merito non dal genere

Il proverbio dice «donna al volante pericolo costante». O ancora «donne e motori gioie e dolori». Insomma stando alla saggezza popolare sembra proprio che l’accoppiata tra donne e automobili non rappresenti un binomio vincente. Mi sento dunque di rappresentare un’eccezione; ieri nel Consiglio di Fiat Industrial e oggi in quello di Ferrari! Ma dietro ai proverbi è chiaro che si cela ben altro; se alle donne non si riconosce la capacità di guidare un’automobile, figuriamoci se possono essere in grado di guidare un’azienda, un’istituzione o tantomeno un paese. (...)

Quella che viene messa in discussione è, in altre parole, la capacità di gestione e di leadership femminile a certi livelli. Quello che possiamo chiamare il «sentire comune» fa spesso intendere che le donne non abbiano le caratteristiche «genetiche» per assumere decisioni importanti, per ricoprire ruoli di rilevo. Sarà forse per questo che ancora oggi, nell’avanzatissima Europa, le donne a parità di mansione sono retribuite il 16% in meno dei colleghi uomini?

Eppure un recente studio del Fondo Monetario Internazionale è riuscito a misurare l’impatto femminile sulle performance aziendali e sembra molto positivo. Ma anche in questo caso, non dobbiamo creare nuovi stereotipi o ulteriori luoghi comuni di senso inverso. Io non credo che quelle aziende abbiano una redditività maggiore perché guidate da donne ma semplicemente perché guidate da persone competenti. Sono aziende che hanno raggiunto performance migliori perché sono riuscite, attraverso dei processi di selezione e di valorizzazione, a neutralizzare la componente gender e quei retaggi culturali che a volte – anche inconsciamente – ognuno di noi si porta dietro capendo quello che in fondo è un assunto lineare: nessuna organizzazione, sia essa pubblica che privata, può fare a meno dell’apporto, delle competenze, delle capacità che le donne possiedono semplicemente perché esse rappresentano il 50% delle competenze e delle professionalità esistenti. Perché se è pur vero che per fattori storico-culturali l’organizzazione ha teso a mascolinizzarsi, è altrettanto vero che l’errore, a mio avviso, che hanno fatto alcune donne, in molti casi, è stato quello di cercare di emulare gli uomini in termini di atteggiamento, di aggressività. Personalmente sono invece convinta che se ognuno di noi cerca di essere o di assomigliare a qualcun altro non potrà mai dare il meglio di sé; ed è del meglio di sé che ogni organizzazione (sia essa aziendale, politica o sociale) ha bisogno. Ognuno di noi è una persona diversa dall’altra, ognuno di noi è una persona unica ed irripetibile (uomo o donna che sia): questa è la più grande ricchezza di cui un’organizzazione dovrebbe far tesoro.

Per arrivare ad una vera e propria parità di genere dobbiamo dunque uscire dal luogo comune delle competenze maschili e femminili, delle caratteristiche di chi è nato in un paese piuttosto che in un altro. Il nodo della questione deve risiedere nella valorizzazione della persona in quanto tale, del proprio talento, della propria unicità. Perché il dono più grande che abbiamo ricevuto, lo ripeto, è che ognuno di noi è diverso dall’altro; è da queste caratteristiche uniche ed irripetibili che le aziende debbono saper trarre «vantaggio». (...) Il processo è oramai innescato: e forse tra non molto potremo cominciare a interessarci solo del merito, dimenticandoci del genere. Meglio invece non dimenticare il genere quando si è in strada: auspicate che chi è alla guida dell’automobile al vostro fianco sia una donna; stando alle statistiche correte il 15% di rischio in meno che provochi un incidente!

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