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Se Trump costringe la Ue a guardarsi allo specchio

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la svolta dell’america e la crisi europea

Se Trump costringe la Ue a guardarsi allo specchio

La Cina, il cui peso nell’ordine globale non cessa di crescere, ormai supera quello dell’Europa e dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha da temere di più, fa mostra di un pragmatismo impeccabile.

La cooperazione, gli manda a dire, è l’unica alternativa percorribile. Intanto aspetta.

L’Europa, alleato e non antagonista globale, no. Non ce la fa a “wait and see”, ad attendere e vedere. Lo shock la trascina in reazioni precipitose: sputa sentenze, esegesi inconsulte e sprezzanti. Ancora ieri Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Ue, ha definito «disgustosa» la campagna elettorale di Trump, come se l’orologio si fosse fermato e nel frattempo il presidente eletto non avesse corretto più di un tiro. Come sempre accade dopo qualunque elezione.

La precipitazione però è una pessima consigliera, soprattutto quando l’inflessibilità del giudice non riposa su una solida credibilità. E nemmeno su una probità senza macchia in fatto di rispetto dei valori fondanti della democrazia, di accordi internazionali e patti commerciali o di un’equa divisione di responsabilità in materia di sicurezza e difesa nella Nato.

Potrebbe sembrare paradossale accusarla di colpevole passività militare nel giorno in cui, pungolata da Brexit oltre che dalle minacce di Trump, l’Unione muove qualche passo verso una difesa più integrata da mobilitare nelle aree di crisi. Nella sostanza niente di veramente nuovo, un piano timido in attesa del via libera dei suoi 28 capi di Governo al vertice di metà dicembre. Ma un indiscutibile primo segnale politico, sempre che questa volta agli annunci seguano davvero i fatti e, soprattutto, gli investimenti militari del caso.

La svolta dell’America, la rivoluzione del trumpismo che, anche se temperata, rimette in discussione tutti gli assunti, i luoghi comuni e l’ordine del dopoguerra, non consente all’Europa di continuare a riposare sugli allori dando per scontata la tenuta del legame transatlantico, che scontata non è più: non perché l’ha deciso Trump ma perché nel frattempo il mondo e i suoi equilibri sono profondamente cambiati e Trump e la nuova America ne stanno prendendo le misure.

Se davvero tiene a sé stessa e al proprio futuro, l’Europa dovrebbe cominciare a fare lo stesso. Invece di fronte al nuovo e all’imprevisto, che ne sfida il solito tran tran, perde le staffe, freddezza di giudizio e capacità di lungimiranza. Nasce così, su spinta della Germania, il paese più sconvolto del club, la cena improvvisata di domenica a Bruxelles dei ministri degli Esteri per consultazioni sulla “catastrofe” Trump. Flop imbarazzante. Intorno al tavolo siedono in 25, due diserzioni eccellenti e la prevedibile fronda ungherese. Non c’è l'inglese Boris Johnson, che nella svolta Usa vede molte opportunità e comunque non condivide «il piagnisteo europeo», e neanche il francese Jean-Marc Ayrault, per laconiche ragioni di agenda.

Peccato che Francia e Gran Bretagna siano i due pesi massimi dell’Unione in politica estera, sicurezza e difesa. Due partner ineludibili, se davvero si pensa e deve cominciare a integrarle seriamente. Sul progetto pesa il macigno Brexit, ammesso che sulla difesa Londra alla fine non ci ripensi. Come pesa il fatto che da anni gli Stati Uniti, stanchi di coprire da soli il 70% del bilancio della Nato, chiedano invano agli alleati europei di portare al 2% del Pil le rispettive spese militari (solo gli inglesi hanno risposto). Trump o no, una più giusta spartizione degli oneri è una necessità evidente e urgente per non usurare o rompere la partnership.

La questione atlantica diventerà presto di attualità. Per ora è la cena della discordia di domenica, le divisioni tra i convenuti, non solo dell’Est, a porre pesanti interrogativi sulla effettiva credibilità delle decisioni di ieri sull’euro-difesa. Ma i dubbi sulla capacità dell’Europa di tener testa a un interlocutore forte, come quasi certamente sarà Trump, vanno oltre. Con quale sicumera, per esempio, l’Unione potrà accusare la nuova America di inaffidabilità sui patti internazionali e commerciali, dopo le giravolte sul Ceta, l’accordo Ue-Canada peraltro non ancora in porto? O dopo che l’Olanda rischia di far saltare il Trattato di associazione Ue-Ucraina già in vigore? E come potrà contrastare e non subire l’eventuale svolta nei rapporti russo-americani, sanzioni comprese, tra le crescenti paure dell’Est, le eterne ambiguità economico-energetiche della Germania alla corte di Putin, il nuovo corso filo-russo e anti-Ue imboccato da Bulgaria e Moldavia alle ultime elezioni?

La grande colpa di Trump è quella di costringere l’Europa a guardarsi allo specchio misurando tutte le rughe delle sue debolezze, divisioni e contraddizioni per constatare di non riuscire più a stare insieme né a fare i conti con le realtà del mondo in evoluzione. Di qui la sua incontrollata crisi di nervi. In fondo è la prima a sapere che il problema Europa oggi è ben più grave dell’insoluta equazione Trump.

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