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Sette passi per «rifare» l’Europa

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L'Analisi|Interventi

Sette passi per «rifare» l’Europa

L’Europa dei cavilli contabili trascura un grave problema: i suoi conti non tornano. L’Europa negli ultimi otto anni è stata colpita prima da una devastante crisi bancaria, poi da una dirompente crisi dei debiti sovrani ed ora dopo la Brexit deve affrontare una grave crisi identitaria. Quali di queste tre crisi fino ad oggi sono state risolte? Sostanzialmente nessuna! Nonostante gli sforzi compiuti, molte banche restano fragili in non pochi Paesi europei.

I debiti pubblici in rapporto al Pil, dopo essere cresciuti ovunque negli ultimi sette anni, continuano ad aumentare a ritmi sostenuti in molti Paesi ed in altri l’indispensabile traiettoria di discesa non si è ancora per niente delineata, lasciando così irrisolto il pesante problema della vulnerabilità. La crisi identitaria è in atto almeno dal 2010 e nessuna capacità reattiva, degna di nota, si scorge all’orizzonte.

Perché registriamo questa disarmante situazione? L’impreparazione, l’improvvisazione, il pressapochismo ed il disordine nell’affrontare gli shock avversi del 2008 e del 2011 sono stati gli elementi predominanti che hanno minato alla radice il progetto europeo, generando un clima di sfiducia e di diffidenza diffuso che si va progressivamente consolidando.

L’unico giocatore sul terreno (per grande fortuna di tutti) che ha curato efficacemente i reali interessi di un’area economica a moneta unica è stata la Bce di Mario Draghi. Tutti gli altri attori principali si sono resi responsabili, in vario modo, di eccessi di egoismo, di elevata miopia strategica, di carenza di leadership e di mancanza di idee sui contrappesi che una moneta senza stato deve saper creare per bilanciare l'impossibilità di attivare leve valutarie, monetarie e fiscali mirate nei paesi con alti squilibri, accentuati in prevalenza da shock sistemici.

Ma cosa dovrebbe fare l’Europa in concreto per salvare e rilanciare se stessa?

Innanzitutto ritornare allo spirito originario e cioè una vera comunità di popoli che pone al centro di ogni strategia economica, il sano sviluppo di tutti i Paesi partecipanti in un contesto di debiti sostenibili. In concreto pertanto la strategia da porre in campo dovrebbe essere basata sulla rifondazione dell’impianto europeo in cui:

si stabiliscono politiche di rientro dai deficit e dai debiti eccessivi graduali, con programmi di risanamento non condizionati da astrusi e paranoici algoritmi econometrici che regolano le manovre annuali di bilancio rendendole perverse e di assai dubbia efficacia (se non certa inefficacia) ma adattati alle condizioni specifiche di ogni singolo paese nell’ambito di piani condivisi di riequilibrio e di rilancio a medio termine; - si implementano le condizioni per mettere, un volta per tutte, in sicurezza i sistemi bancari, essendo essi uno dei motori centrali per il buon funzionamento delle attività economiche complessive;

si rende molto più flessibile la normativa sugli aiuti di Stato; l’eccesso di rigidità è incompatibile con la risoluzione delle crisi strutturali acute;

si attivano aiuti economici mirati al superamento dei deficit di struttura e allo sviluppo economico dei Paesi maggiormente in difficoltà delegando a questa funzione i Fondi Salva Stati, controbilanciando tali interventi con cessioni circoscritte di sovranità e riforme strutturali da attuare in modo rapido, incisivo e coordinato con le istituzioni europee;

si impongono politiche economiche adeguatamente espansive ai paesi con avanzi commerciali eccessivi, spingendo i loro consumi interni per trainare le economie dei paesi in affanno;

si introduce, come asse centrale delle politiche economiche e monetarie europee, l’obiettivo prioritario di raggiungere un tasso di disoccupazione che deve tendere a non superare il 6% in ogni paese partecipante all’unione monetaria;

si programma di uniformare, in un arco di tempo ragionevole, le regole e i sistemi di funzionamento in materia di mercato del lavoro, concorrenza, apertura dei mercati, lotta all'evasione e alla corruzione, giustizia civile ed amministrativa, contrasto alla povertà, burocrazia nelle attività imprenditoriali, lotta alla criminalità organizzata, sistemi di istruzione, immigrazione;

si introducono meccanismi chiari e preordinati di aiuti ai paesi che dovessero venire a trovarsi in difficoltà sui mercati, per togliere preventivamente acqua alla speculazione e far si che gli investitori si sentano sempre adeguatamente garantiti.

In definitiva, solo se si riuscirà a delineare un nuovo sogno europeo, l’Europa potrà uscire dalla sua agonia. In caso contrario, il vecchio continente ha davanti a sé due sole possibilità: rassegnarsi a convivere con la stagnazione e la mancanza strisciante di prospettive di prosperità o prendere atto del proprio fallimento irreversibile.

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