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Venture philanthropy per un nuovo welfare

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lo scenario

Venture philanthropy per un nuovo welfare

Donald Trump. E poi il peso crescente dei debiti sovrani, la necessità di una spending review per il rilancio degli investimenti, la pressione migratoria,l’invecchiamento della popolazione che ribalta la piramide demografica.

Mai come ora il modello tradizionale di welfare occidentale vede scricchiolare i presupposti di base che lo hanno plasmato nel tempo, garanzie pubbliche per sanità, assistenza e previdenza che anno dopo anno diventano sempre meno scontate e sempre più difficili da implementare se la contropartita è un Paese con più tasse, meno investimenti, un numero ridotto di posti di lavoro.

Terzo settore e volontariato hanno rappresentato nel tempo una parziale soluzione al problema, che tuttavia oggi si presenta in modalità diverse, per qualità e quantità.

Tra garanzie pubbliche e spontaneismo esiste però una terza via? L’ipotesi, al centro del dibattito organizzato ieri a Bergamo dalla Fondazione Carlo Pesenti (“Investire nell’utile, le nuove frontiere del welfare”), è nell’ibridazione di diversi modelli, una commistione tra non profit e “for” profit in grado di creare un circolo virtuoso tra capitali “pazienti” e necessità sociali. «Oggi - spiega Carlo Pesenti, presidente della Fondazione - è impensabile che il settore pubblico possa garantire le prestazioni del passato, costruite su basi anche demografiche non più sostenibili. E d’altra parte, la donazione come gesto personale e privatistico non pare una riposta adeguata per rispondere ai bisogni sociali. L’evoluzione necessaria è nel concetto di venture philanthropy, il venture capital a finalità sociali, in grado di inserire competenze imprenditoriali e organizzative in questi ambiti, professionalizzando un’attività che al momento è invece caratterizzata da gesti personali e privatistici». Che avvengono, come spiega il presidente di Ipsos Nando Pagnoncelli, all’interno di una società sempre più sfiduciata, dove le istituzioni di rappresentanza raccolgono consensi decrescenti (la fiducia nell’Europa è al 38%, nei partiti appena al 13%), dove la stessa interazione tra persone (per il 69% degli italiani sono più le cose che ci dividono rispetto a quelle che ci uniscono) diventa problematica. L’ibridazione tra pubblico, privato e terzo settore, può dunque rappresentare una possibile via d’uscita per garantire allo stesso tempo sostenibilità (anche economica)e credibilità alle azioni messe in campo, facendo fare un salto di qualità ad un comparto che in Italia ha assunto dimensioni ragguardevoli: 235mila organizzazioni non profit, che danno lavoro a 500mila addetti e rappresentano il 4,3% del prodotto interno lordo nazionale. Il nuovo modello di welfare deve necessariamente fare i conti con i vincoli di bilancio e la strada delle riforme - ha spiegato l’economista ed ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero - è da questo punto di vista ineludibile. «Come accade per ogni investimento - spiega - le riforme nel breve periodo comportano sacrifici. Ma è al futuro che dobbiamo pensare, all’aspettativa di un domani migliore e più sostenibile. Purtroppo, nel caso della riforma delle pensioni, è “passato” solo il messaggio dei tagli, dell’austerità. Mentre il segnale, chiaro, era diverso: anche per le pensioni, in assenza di riforme, il sistema non regge».

La rimodulazione degli interventi del settore pubblico apre peraltro spazi all’attività privata, dove accanto alle formule tradizionali di non profit si aggiungono nuovi attori, una sorta di “quarto settore” che prova a coniugare e rendere compatibili le logiche del profitto con le esigenze sociali. Una realtà, quella della venture philanthropy, nata nel mondo anglosassone (la metà delle 200 organizzazioni attive è oggi negli Usa) ma che inizia timidamente a crescere anche in Italia. «Noi – spiega Luciano Balbo, fondatore di Oltre Venture – siamo riusciti a creare a Milano il più grande erogatore sanitario ambulatoriale, con costi di poco superiori al ticket. La sfida è utilizzare strumenti “misti”, con l’investitore che accetta rischi e rendimenti diversi in funzione di un intervento di finalità sociali».

«Utilizzando capitali “pazienti” – spiega il presidente di Opes Impact Fund, Elena Casolari – si possono realizzare progetti interessanti. L’economia della collaborazione è un passo necessario per colmare il gap lasciato dai governi, erogando i servizi richiesti con una maggiore efficacia». «La filantropia – aggiunge Paola Pierri, fondatrice di Pierri Philanthropy Advisory – è una parte importante del terzo settore. Se i fondi pubblici e le donazioni private diminuiscono, a maggior ragione occorre fare crescere la filantropia in termini professionali. Piuttosto che proporre ai giovani di fare volontariato, offriamo loro dei lavori – anche ben pagati – in questo settore». «Il welfare - ha precisato nell’intervento di chiusura il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori - è un’espressione della cittadinanza e deve essere continuamente rigenerato per contribuire alla qualità della vita. Quello che vogliamo sviluppare è il welfare partecipato di comunità».

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