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«Merkelismo» soluzione o problema per l’Europa?

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L'Editoriale|l’editoriale

«Merkelismo» soluzione o problema per l’Europa?

Ma il merkelismo fa bene all’Europa o, per dirla altrimenti, è parte del problema o soluzione del suo incerto destino?
All’indomani della decisione del cancelliere tedesco di candidarsi per il quarto mandato consecutivo, seguendo le orme del suo mentore e predecessore Helmut Kohl, l’interrogativo non suona ozioso, anche perché ogni possibile alternativa, ammesso che esista, per ora appare peggiore della sua probabile riconferma.

Prova ad emularlo nel cursus honorum in Germania, Merkel però non gli somiglia molto. Europeista incrollabile, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, Kohl fu innovatore coraggioso, quasi suicida nella ferma volontà di andare controcorrente rispetto agli umori del suo Paese. Grazie a lui l’Unione ebbe il mercato unico e l’euro: non l’Unione politica che auspicava fortemente ma era osteggiata con altrettanta forza dalla Francia di Mitterrand e dalla solita Gran Bretagna.

“Figlia dell’Est, europeista convertita senza passione, Merkel è navigatrice provetta e mediatrice instancabile, due doti che ne hanno fatto il leader indiscusso dell’Unione dopo la grande crisi economico-finanziaria del 2008”

 

Figlia dell’Est, europeista convertita senza passione, Merkel è navigatrice provetta e mediatrice instancabile, due doti che ne hanno fatto il leader indiscusso dell’Unione dopo la grande crisi economico-finanziaria del 2008. La sua abilità sta non tanto nel superare i problemi ma nello smontarli con pazienza, per risolverli a metà o metterci un tappo sopra.

È successo con la Grecia e la crisi dell’euro: evitati in extremis i rischi di default trasformando entrambe in emergenze “calme”, che però non passano. È successo con l’Unione bancaria nata a metà. Poi con la crisi dei rifugiati, prima esasperata e poi bloccata (ma solo sul versante tedesco e nordeuropeo) grazie al patto leonino con la Turchia di Erdogan: fragile e a rischio continuo di ricatti di ogni tipo.onservatrice più che innovatrice, amministratrice del presente più che immaginifica regista del futuro, «una forza di stabilizzazione in tempi estremamente difficili» come ora si auto-definisce, Merkel può apparire il cancelliere giusto da tenersi stretto nell’Europa dei 28, o dei 27 post-Brexit.

Un’Europa che non riesce più a intendersi con se stessa, incapace di trovare minimi ma efficaci denominatori comuni. Ma Merkel lo è davvero?
I soprassalti verbali anti-Trump, così poco coerenti con la sua proverbiale cautela e la tradizione della diplomazia tedesca, il “pas de deux” a Berlino con Barack Obama, il presidente americano uscente ora tutto Nato e Ttip, sono apparsi una danza preoccupante nell’irrealtà: alla ricerca del pubblico sodalizio con l’America appena sconfitta alle urne, non con quella che governerà dal 20 gennaio. Legittimo chiedersi quale sia l’utilità dell’esercizio e quanto rassicurante il bagno nostalgico nel presente che ha esaurito il suo corso in un Paese che ha democraticamente scelto la svolta. Netta.

Forse niente quanto sorrisi e ammiccamenti di Berlino tra Merkel e Obama riflettono, specchio impietoso, quello che l’Europa oggi è ma dovrebbe disperatamente cercare di non essere: con la sua voglia di danzare sul nulla se la realtà è altro, non le piace e quindi prova inutilmente a negarla. Il mondo cambia, l’ordine del dopoguerra si sta sgretolando, l’America di Trump è figlia legittima del sommovimento in atto: rifiutare l’evidenza non serve a polverizzarla ma solo a complicare la convivenza con essa. Che è obbligata.

“L’Europa ha bisogno di metabolizzare la lezione americana come stimolo all’auto-rinnovamento in un mondo diverso, che punisce i modelli sclerotici e non tollera rendite di posizione infinite”

 

C’è da sperare che siano le ansie elettorali a far scivolare Merkel sul ponte del Titanic. L’Europa ha bisogno della sua lucidità per ricostruirsi e tornare a funzionare, ha bisogno che il suo quarto mandato smentisca i tre precedenti con scelte chiare, realistiche e lungimiranti. E ha anche bisogno di metabolizzare la lezione americana come stimolo all’auto-rinnovamento in un mondo diverso, che punisce i modelli sclerotici e non tollera rendite di posizione infinite.

Quando debuttò al potere a fine 2005 Merkel ereditò un’Europa già complicata: fresca del successo del mega-allargamento a Est ma bruciata dalla bocciatura franco-olandese del suo progetto di Costituzione. Ormai le crisi dell’Unione quasi non si contano: sembrano diventate una componente strutturale della sua esistenza.

“Se vincerà anche la quarta corsa, il cancelliere avrà a che fare con partner ancora più ostici: governi più a destra, più nazionalisti e protezionisti, cioè malati di tutti i difetti che denuncia e mal tollera nell’America di Trump”

 

Se, come sembra, vincerà anche la quarta corsa, il cancelliere avrà a che fare con partner ancora più ostici: governi più a destra, più nazionalisti e protezionisti, cioè malati di tutti i difetti che denuncia e mal tollera nell’America di Trump. E non potrà arricciare il naso ma dovrà convincere i suoi interlocutori, e forse anche se stessa, che nel mondo globale il futuro si chiama Europa e non nazione. E le pulsioni no-global, magari anche comprensibili, sono alla lunga corpi contundenti per chi le coltiva con sogni isolazionisti.

Lo sono per l’America di Trump. Figurarsi per l’Europa di 27-28 piccoli indiani confusionari, rancorosi e divisi, con il grande fratello Vladimir Putin alle frontiere e troppe polveriere ai confini. L’Europa val bene il quarto mandato Merkel. Ma con un cancelliere politicamente più adulto. E audace.

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