ZURIGO – Il mondo è sulle spine dalla schiacciante vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton alle elezioni presidenziali americane della scorsa settimana. Nessuno, compreso forse lo stesso presidente-eletto, sa esattamente che forma assumerà la prossima amministrazione Usa, o quali politiche avranno la priorità.
A creare questa incertezza è il fatto che, in tutto il mondo, le tensioni geopolitiche sono in aumento, e le economie avanzate procedono ancora in una fase di tiepida crescita, anche dopo anni di tassi di interesse ai minimi storici. Se Trump vorrà stimolare le attività economiche Usa in modo tale da soddisfare la sua base zelante, dovrà trovare il giusto equilibrio tra misure fiscali e strumenti di politica monetaria.
Che Trump prosegua con la tradizione americana post-1945 US della leadership internazionale oppure scelga l’approccio “America first”, in ogni caso non sarà da solo nel percorso di crescita: anche il Giappone e i paesi dell’Eurozona lottano per promuovere una ripresa sostenibile e soddisfare i target inflazionistici delle banche centrali. I commentatori di Project Syndicate sono in prima linea nell’attuale dibattito su cosa possano fare i policymaker per raggiungere questi obiettivi. In particolare, mentre Trump e i politici di altri paesi abbracciano l’attivismo fiscale, resta incerto fino a dove siano disposti o intenzionati a spingersi, sollevando la questione di ciò che potrebbero fare le banche centrali per stimolare la domanda e rilanciare la crescita.
Circolo vizioso
La recente transizione verso l’espansione fiscale riflette l’accordo diffuso che i policymaker abbandonino le opzioni di stimolo. Le banche centrali non possono più fare affidamento sulla “forward guidance”, come le mezze promesse che i tassi di interesse rimangano bassi all’infinito. E il cosiddetto “quantitative easing” (QE), ossia l’espansione monetaria, sta rapidamente perdendo forza, forse perché è intrinsecamente più efficace come meccanismo di risposta a una crisi che come soluzione a lungo termine.
Inoltre, il QE sembra essere decisamente meno efficace in alcune economie rispetto ad altre. Il “QE in stile americano”, sostiene John Muellbauer dell’Università di Oxford, promette “un basso impatto sui principali paesi dell’Eurozona”, perché i “meccanismi attivati dalla Fed per stimolare la spesa dei consumatori – riduzione dei tassi sui mutui ipotecari, ampio accesso ai rifinanziamenti dei prestiti sulla casa, incremento dei prezzi immobiliari e la possibilità di accedere al credito grazie agli incrementi del valore degli immobili – funzionano in maniera diversa nell’Eurozona”. Secondo Muellbauer, “il rialzo dei prezzi delle case nei paesi dell’Eurozona spinge i non-proprietari a risparmiare di più per mettere da parte la caparra”, e una volta diventati proprietari, gli scarsi prestiti vitalizi ipotecari impediscono loro di finanziare altre spese.
Lo stesso vale per i tassi di interesse ultrabassi. Come fa notare Muellbauer, nei paesi come la Germania, dove le famiglie hanno più crediti che debiti, “i tassi di interesse più bassi riducono la spesa totale delle famiglie”. Non sorprende, quindi, che neanche i tassi di interesse negativi siano riusciti a stimolare il livello della domanda previsto dalle banche centrali. Come spiega Adair Turner, presidente dell’Institute for New Economic Thinking, le banche commerciali non intendono “imporre tassi negativi sui depositanti”, quindi devono imporre “un aumento degli interessi attivi” per compensare le “[perdite] sulle riserve delle loro banche centrali”. Concorda Lee Jong-Wha, il direttore dell’Asiatic Research Institute dell’Università della Corea. “Far scendere i tassi di interesse sotto zero”, lamenta, “ha fatto male ai bilanci delle banche, riducendo la loro capacità creditizia. Di conseguenza, non è riuscito a incrementare gli investimenti delle imprese”.
Elicotteri che sganciano soldi
Lee riflette un ampio consenso nel fare appello alle banche centrali affinché ripristinino la “credibilità” ritornando alle tradizionali politiche monetarie, e ammonisce i governi a intervenire e implementare “politiche fiscali e riforme strutturali efficaci”. Ma la prospettiva che i governi si oppongano a un’espansione fiscale o si fermino prima del necessario ha spostato il dibattito nei circoli della politica monetaria sull’approccio dell’“helicopter money”, (o dell’“helicopter drop”, come lo definisce il WSJ), ossia “denaro lanciato dall’elicottero”, “soldi che piovono dall’elicottero”, un concetto reso popolare nel 1969 dall’economista Milton Friedman e tornato in auge nel 2002 con l’allora governatore della Fed Ben Bernanke.
Con “helicopter money” Turner intende “l’iniezione diretta di denaro nelle mani dei consumatori o la monetizzazione permanente del debito pubblico”. I commentatori di Project Syndicate si trovano d’accordo sui potenziali costi e benefici di uno stimolo diretto finanziato dalle banche centrali e destinato all’economia, ma dissentono su molte questioni centrali rispetto a quello che, a seguito del QE e dei tassi di interesse negativi, certamente sarà l’intervento di politica meno convenzionale in assoluto.
La situazione economia odierna è sufficientemente disastrosa da giustificare l’uso di uno strumento tanto controverso e poco compreso? J. Bradford DeLong dell’Università di Berkeley ne è convinto e ha fatto un appello alle banche centrali dei paesi con tassi di interesse rasenti allo zero affinché mettano “i soldi direttamente nelle mani delle persone che lo spenderanno”. Turner, dal canto suo, sostiene che esiste “un forte consenso globale oggigiorno” sulla necessità di fare qualcosa per alimentare la domanda.
Il capo economista di Allianz SE Michael Heise, però, fornisce una sana dose di scetticismo. “Se da un lato i soldi sganciati dall’elicottero rappresentano un’opzione fattibile nel caso in cui la deflazione evidenzi una spirale verso il basso”, sostiene che, “oggi non è così”. Di fatto, la Fed è pronta a rialzare il tasso di interesse a dicembre. “Banche, aziende e famiglie stanno ancora sistemando i propri bilanci e smaltendo i mucchi di debiti accumulati durante il boom creditizio che ha preceduto lo scoppio” del 2008, sostiene Heise. “Ma hanno già compiuto passi significativi, e quindi il freno sulla crescita è destinato a diminuire”. In modo analogo, non è ovvia la necessità di un massiccio incentivo della domanda nell’Eurozona, dato che lì il tasso di inflazione nominale è ancora in ascesa.
Una No-Fly Zone monetaria?
Turner ha ripetutamente sostenuto che il Giappone debba abbracciare la teoria dell’“denaro lanciato dall’elicottero”; il Giappone potrebbe infatti essere l’unica eccezione dei paesi sviluppati. Ma supponendo che si tratti un intervento appropriato in qualsiasi area valutaria, è davvero legale? Jean Pisani-Ferry, consigliere del primo ministro francese Manuel Valls, riconosce che, “l’helicopter money solleva difficoltà sia tecniche che legali”. E come osserva l’economista e storico britannico Robert Skidelsky, “questo tipo di finanziamento monetario dei deficit pubblici per il momento è tabù” in Europa, perché va “contro i regolamenti dell’Unione europea”.
La legalità dell’“helicopter money” è di fatto in dubbio in tutti i paesi sviluppati. Ad esempio il Public Finance Law del Giappone (Articolo 5) sembra vietare alla Bank of Japan (BoJ) di estendere il credito direttamente al governo. D’altro canto, solitamente c’è spazio per le astuzie legali: mentre il governatore della BoJ Haruhiko Kuroda ha liquidato l’helicopter money perché incostituzionale, Heise fa notare che “è verosimilmente ciò che sta facendo ora [la BoJ]”, “sostituendo i titoli di Stato sul [suo] bilancio una volta maturati” e “incrementando il volume dei titoli di debito pubblico sui libri contabili della banca centrale”.
L’economista tedesco Hans-Werner Sinn è altrettanto scettico sulla legalità dell’“helicopter money” nell’Eurozona. Come ha enfatizzato nel giugno del 2013, “l’Eurozona non è un paese federale, e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in particolare l’articolo 123) vieta esplicitamente i finanziamenti monetari degli stati membri”. In modo analogo, lo Statuto della Banca centrale europea (Articolo 21) sembra proibire alla Bce di estendere il credito ai governi nazionali o ad altre istituzioni Ue, oppure di fare donazioni o regali ai singoli privati.
Ma come è accaduto con la BoJ, anche la Bce potrebbe trovare un certo spazio di manovra. Da quando è apparso il commento di Sinn, la Corte di giustizia europea si è pronunciata a favore del programma di Outright Monetary Transactions della Bce, così garantendole un notevole margine di manovra nel definire l’ambito della politica monetaria. Ho il sospetto che, alla fine, l’helicopter money non sia tecnicamente legale nell’Ue, compreso nel Regno Unito, fin quando sarà membro.
Negli Usa, il Congresso proibisce alla Fed dal 1981 di acquistare titoli direttamente dal Tesoro americano, e il Federal Reserve Act permette solo gli acquisti di titoli di Stato del mercato aperto. Non è chiaro se la Fed abbia il permesso di fornire ai privati cittadini contanti, assegni o voucher, ma il Congresso potrebbe ovviamente modificare la legge per chiarire tali questioni. Allo stato attuale però i policymaker che perseguono le politiche da “helicopter money” in qualsiasi paese sviluppato dovranno probabilmente sciogliere i notevoli nodi legali, o trovare un modo per aggirarli.
DeLong ammette che effettivamente la possibilità di implementare l’“helicopter money” “dipenderà dalla struttura legale di una data banca centrale e da quanto gli amministratori siano disposti a intraprendere azioni che vadano oltre la loro tradizionale autorità (con la promessa implicita o esplicita che il resto del governo chiuda un occhio)”. Ovviamente, in un’era di crescente populismo, c’è da chiedersi se alle banche centrali – che con le loro procedure a porte chiuse e l’attenuata responsabilità politica sono un obiettivo naturale dei leader populisti in ogni dove – sarà concessa tale margine di manovra, soprattutto sotto l’imminente amministrazione Trump. Eppure, come osserva Nouriel Roubini dell’Università di New York, “Trump è un magnate dell’immobiliare, quindi non possiamo aspettarci immediatamente che sia un vero falco monetario, e nemmeno una colomba segreta”.
Il cielo è il limite
Se ipotizziamo che il denaro lanciato dall’elicottero possa sciogliere gli esistenti nodi legali, o che le leggi possano essere modificate, come dovrebbe essere gestito? A sorpresa, molti commentatori sembrano inclini a prendere Friedman piuttosto alla lettera. Come propone l’ex ministro turco degli Affari economici Kemal Derviş, i policymaker possono “direttamente finanziare la spesa pubblica stampando moneta”. Ma l’“helicopter money” sotto forma di trasferimenti diretti imporrebbe un enorme peso logistico sui governi, dal momento che sono alle prese con domande del tipo chi saranno i beneficiari e quale agenzia debba vigilare su un processo così massiccio e complesso. I favorevoli all’elicottero ignorano queste domande cruciali a loro rischio e pericolo. Questa è un’altra ragione per il brusco avvertimento di Heise: “se sembra troppo bella per essere vera, è perché è così”.
Per Derviş, se il denaro che cade dall’alto deve essere fornito come trasferimento diretto alle famiglie, dovrebbe essere concepito per raggiungere “coloro che più ne hanno bisogno”, così contribuendo a “migliorare l’inclusività nelle economie in cui la disuguaglianza cresce rapidamente”. L’ex governatore della Reserve Bank of India Raghuram Rajan mette in guarda circa il fatto che anche questo approccio, malgrado le buone intenzioni, possa essere inefficace o sortire conseguenze non desiderate. Se “una politica aggressiva convince il pubblico che c’è una calamità dietro l’angolo, le famiglie potrebbero risparmiare invece di spendere”, osserva. In alternativa, “se le persone fossero convinte che le politiche non cambiassero mai, potrebbero di nuovo spendere all’impazzata e indebitarsi eccessivamente” il che si traduce in un’“enorme dislocazione” derivante dalle “oscillazioni dei prezzi azionari” quando “la politica inevitabilmente cambia”.
L’alternativa ai trasferimenti diretti, asserisce Laura Tyson di Berkeley e il presidente del McKinsey Global Institute Eric Labaye, è di finanziare i programmi di stimolo “concedendo crediti alle Tesorerie nazionali”. Con questo approccio, le banche centrali farebbero i trasferimenti direttamente ai governi nazionali acquistando buoni del Tesoro rinnovandoli in perpetuo quando giungono a scadenza, in modo simile al programma della BoJ. Anche se i governi dovessero pagare il tasso cedolare sui buoni, essenzialmente è come se lo pagassero a se stessi.
Questo tipo di finanziamenti monetari è politicamente allettante per i populisti e per i non-populisti allo stesso modo, perché non richiede alcuna aumento della pressione fiscale, né ora né in futuro. Di fatto, Turner suggerisce che le banche centrali debbano sostenere in modo permanente i titoli di debito di Stato per combattere gli eccessi di debito pubblico. In questo scenario le banche centrali finanzierebbero direttamente la spesa pubblico, ma delegherebbero la responsabilità per l’esecuzione dei programmi di stimolo ai governi, che hanno più esperienza nel vigilare sui programmi relativi alla rete di sicurezza sociale, come i sussidi per la disoccupazione, e i progetti dedicati alle infrastrutture.
Le idee dei commentatori di Project Syndicate differiscono anche su come debbano essere allocati i proventi derivanti dalle vendite di titoli di Stato. Mentre alcuni favoriscono i trasferimenti diretti ai consumatori, Tyson e Labaye sostengono un aumento degli investimenti in progetti per le infrastrutture, come il trasporto pubblico, che porterebbero a generare una maggiore attività economica, aumentare la produttività e incentivare le future entrate fiscali. Skidelsky, dal canto suo, suggerisce che entrambe le forme di helicopter money “potrebbero (e dovrebbero) essere lanciate insieme”.
Il falco nero ben saldo a terra
Ma come avverte il direttore generale di Fitch Ratings James McCormack, i lanci di denaro dall’elicottero sono “problematici per diverse ragioni”. In particolare, la monetizzazione della politica fiscale “indebolisce in modo inequivocabile il bilancio della banca centrale aggiungendo asset privi di valore reale (crediti nei confronti del governo che non saranno mai ripagati), controbilanciata dalle passività (la moneta appena creata) generate per acquisirle”.
McCormack fa un ammonimento ampiamento condiviso da tutti i commentatori: i governi che fanno ricorso ai soldi sganciati dall’elicottero potrebbero diventarne dipendenti, se inizieranno a considerare questi finanziamenti monetari come “il proverbiale ‘pasto gratis’”. Se ciò dovesse accadere, i paesi sviluppati potrebbero trovarsi in futuro di fronte a uno scenario di elevata inflazione che sarà grave come negli anni 80. Di fatto, la minaccia di un’inflazione elevata e volatile è precisamente il motivo per cui molti paesi hanno proibito in prima battuta i finanziamenti monetari.
Turner riconosce questo timore, ma sostiene che “la mancata implementazione di qualsiasi politica … possa essere altrettanto pericolosa”. Esattamente come le banche centrali decidono quale tasso di interesse impostare, potrebbero anche in tutta autonomia stabilire quanti finanziamenti monetari siano disposti a fornire, e poi trasferire quell’ammontare al governo.
Quest’argomentazione non convince affatto Heise, che sostiene che le banche centrali riceveranno pressioni per fornire altri finanziamenti monetari, a prescindere da quali presidi vengano messi in atto. Si tratta di una preoccupazione credibile: una banca centrale che finanzia la spesa pubblica necessariamente dovrà lavorare a più stretto contatto con quel governo, soprattutto quando i progetti sulle infrastrutture o altri programmi durano diversi anni e vanno incontro a sovraccosti e ritardi.
Inoltre, se i finanziamenti monetari riuscissero a incrementare l’inflazione per soddisfare i target rate delle banche centrali, i governi inevitabilmente vedrebbero come auspicabile una stretta cooperazione monetaria-fiscale, mettendo a rischio l’indipendenza delle banche centrali. Come sostiene McCormack, “i soldi lanciati dall’elicottero trasferirebbero il rischio dai bilanci dei governi a quelli delle banche centrali, rendendo labili i confini tra politiche, istituzioni e relativa autonomia”. A un certo punto, teme McCormack, “la fiducia nell’integrità finanziaria delle banche centrali – e conseguentemente la solidità del denaro – ne risulteranno indebolite ”.
Impariamo a volare
I soldi lanciati dall’elicottero funzionano in teoria, e i dati storici suggeriscono che potrebbe funzionare anche nella pratica. Ma, diversamente dall’espansione fiscale, si tratta di uno strumento diretto e impreciso che le banche centrali farebbero bene ad evitare, almeno nel breve termine. Come avverte Koichi Hamada, senior consigliere del primo ministro giapponese Shinzo Abe, “le avverse condizioni globali, per quanto problematiche, non dovrebbero spingere i banchieri centrali a tralasciare i rischi di politiche non testate”.
Gli entusiasti dell’elicottero hanno glissato molte considerazioni pratiche, compresi gli effetti che le politiche attuate in un’area valutaria possono riversare altrove. Come ci ricorda Rajan, “oltre agli impatti domestici, tutte le politiche monetarie hanno effetti ‘spillover’”. Ad esempio, “le politiche monetarie non convenzionali” possono creare “ampi deflussi di capitali che provocano bolle azionarie nei mercati emergenti”.
Inoltre, tutti i commentatori di Project Syndicate riconoscono che l’helicopter money possa minacciare l’indipendenza delle banche centrali e che potenzialmente possa causare un’iperinflazione estremamente costosa. Ma mettendo da parte questi timori, la maggior parte la terrebbe nel suo set di strumenti di politica monetaria, perché potrebbe rivelarsi efficace come risposta d’emergenza a una vasta recessione deflazionistica. Come scrive Michael Biggs, strategista di GAM, l’helicopter money durante i periodi deflazionistici è davvero “ciò che più si avvicina a un pasto gratis offerto dall’economia”.
Vietando un ciclo deflazionistico, però, dovremmo aspettarci che gli elicotteri restino ben saldi al terreno delle maggiori aree valutarie del mondo al di fuori del Giappone, dove l’inflazione ora è l’ultima preoccupazione dei policymaker.
© Riproduzione riservata