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Il sistema elettorale Usa e quei vecchi tweet di Donald Trump

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Le lettere

Il sistema elettorale Usa e quei vecchi tweet di Donald Trump

Caro Galimberti, ho letto la sua risposta ad una lettera di un lettore sul Sole 24 Ore del 16 novembre 2016. Mi permetto di dissentire sia sulle sue osservazioni relative al sistema americano che a quelle sul sistema italiano. Le spiego perché: il sistema americano è basato sul fatto che si tratta non di uno stato ma di una confederazione di Stati, ognuno con un proprio peso. Sarebbe ingiusto far pesare uno Stato in misura maggiore solamente perché ha più popolazione: il concetto alla base è che ogni Stato manda i suoi rappresentanti a votare il presidente e ogni Stato ha un proprio peso. Non penso sia retrogrado. Al contrario penso sia un sistema equo e corretto per il tipo di forma di Stato che hanno da sempre adottato. Ripeto Confederazione, non Stato.

Riguardo al sistema italiano, dissento nel punto in cui Lei parla di premio di maggioranza. Innanzitutto occorre distinguere da elezioni per il parlamento da quelle per il governo. Nelle elezioni americane si eleggeva il governo. Noi siamo una Repubblica parlamentare. Il parlamento dovrebbe rispecchiare le idee della popolazione ed anche delle minoranze: questo è un concetto basilare. Altra cosa è il governo, per il quale l’ideale sarebbe una forma presidenziale con voto ai cittadini. Tornando al parlamento, il premio di maggioranza ha un effetto distorsivo della rappresentanza, in quanto i seggi “presi” con il premio non rappresentano alcun cittadino ma sono lì sospesi… Due possono essere, a mio parere, i sistemi per il parlamento: proporzionale puro o, meglio ancora, uninominale secco, laddove un rappresentante, colui che ha preso più voti in un’area geografica, viene mandato in parlamento. E tutti coloro che siedono in parlamento rappresentano un’area.

Giancarlo Donato

Caro Donato, a causa dello spazio tiranno rispondo solo alla prima parte della sua lettera, quella che riguarda l’elezione del Presidente americano. «E pluribus unum», è il motto degli Stati Uniti d’America: “da tanti Stati, uno solo”. Come dice lei, gli Usa sono una Confederazione, non uno Stato unitario, e questo fatto fondamentale si riflette nella diversità delle leggi che regolano molti aspetti della convivenza, diverse, appunto, da Stato a Stato. Si riflette anche nelle leggi che valgono per tutti, le leggi federali. Gli Stati Uniti hanno un sistema bicamerale e il Senato, il cui ruolo è eguale a quello della Camera, è composto da 100 senatori, due per ogni Stato. Talché gli abitanti del Wyoming (meno di 600mila) hanno la stessa influenza sulle leggi federali di quelli della California (quasi 40 milioni). Un grande omaggio al ’pluribus’, dunque: «Sarebbe ingiusto – lei scrive – far pesare uno Stato in misura maggiore solamente perché ha più popolazione». Ma non c’è solo il “pluribus” – c’è anche un “unum”. L’elezione del Presidente degli Stati Uniti – degli Stati, appunto, “uniti” – è il momento in cui si incarna l’unità della nazione o confederazione che dir si voglia. Il principio “un uomo un voto” – un principio che si è affermato nella storia dopo sanguinosi sommovimenti volti a combattere monarchie assolute e dittature – deve valere per questi momenti unitari di una nazione. Questo sistema del Collegio elettorale è un relitto del passato – può consultare i pro e i contro in http://www.vox.com/policy-and-politics/2016/11/7/12315574/electoral-college-explained-presidential-elections-2016 – ed è ancora in transizione. Per esempio, ci sono degli Stati – il Maine e il Nebraska – che non apporzionano i Grande elettori al candidato che vince, sia pure di un voto, ma li distribuiscono secondo il numero di voti presi dai due candidati. Ho fatto qualche calcolo, sulla base dei risultati quasi definitivi delle elezioni presidenziali: se tutti gli Stati avessero seguito l’esempio di Maine e Nebraska, la Clinton avrebbe vinto con ampio margine, anche con il sistema dei Grandi elettori. Fra l’altro, le ultime cifre danno alla Clinton un vantaggio sul voto popolare di un milione e mezzo di elettori, e potrebbe ancora crescere. Per finire con una nota di colore, ricordo che quando, nella notte delle elezioni del 2012, sembrava che Romney fosse in vantaggio nel voto popolare, pur se si profilava la sconfitta nel Collegio elettorale, Trump lanciò un paio di Twitter indignati: «Questa elezione è una truffa totale e un travestimento. Non siamo una democrazia!» (5.33am, 7-11-12) – e «Il Collegio Elettorale è un disastro per la democrazia» (5.45am del 7-11-12). Come si sa, Obama poi vinse sia la presidenza che il voto popolare.

fabrizio @bigpond.net.au

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