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Se l’Italia rischia i colpi del ritorno dell’austerity

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Editoriali

Se l’Italia rischia i colpi del ritorno dell’austerity

Tra vincoli di bilancio, spread in salita e solidarietà avara sulla questione migranti, di questi tempi l’Italia non ha vita distesa in Europa. Presto le cose potrebbero andare peggio.

L’uscita di scena di Martin Schulz, la fine del suo gioco di squadra con Jean-Claude Juncker, in breve il tramonto del ferreo sodalizio tra i due presidenti, del parlamento e della Commissione europea, rischiano di segnare la fine di un biennio istituzionalmente controcorrente.

Entrambi europeisti convinti, uno socialista, l'altro democristiano, decisi a mobilitare le rispettive istituzioni per tentare di fermare la debordante deriva intergovernativa dell'Unione e di qui l'esondazione del suo paese più forte, la Germania. Altrettanto decisi a rafforzarla, l'Unione, riconciliandola con i propri cittadini attraverso il rilancio della crescita economica: fondata su un equilibrato dosaggio di conti pubblici in ordine, riforme strutturali e politica espansiva, a far da spalla e corollario a quella da tempo attuata dalla Bce di Mario Draghi che però potrebbe cessare nel marzo prossimo. Simul stabant, simul cadent? Non è detto. Dopo cinque anni alla guida dell'europarlamento, un fatto senza precedenti, Schulz ha deciso di rinunciare al sogno impossibile del terzo mandato consecutivo per rifarsi una carriera a Berlino: seggio al Bundestag, forse la guida del ministero degli Esteri (vacante dal prossimo febbraio), o forse la leadership Spd e magari il salto verso la cancelleria come sfidante di Angela Merkel alle elezioni del prossimo autunno.

Juncker perde così una solida spalla istituzionale in un momento in cui la sua sintonia con i Governi dell'Europa multi-crisi, soprattutto con quelli che più contano, è più che scarsa. Quasi nessuna della sua proposte per una politica migratoria comune è riuscita a decollare. Le sue iniziative economico-finanziarie, dalla flessibilità nell'applicazione delle regole del patto di stabilità fino alla recente sortita a favore di una politica espansiva europea dello 0,5% del Pil annuo da parte dei paesi con i margini di manovra per farlo, leggi Germania, gli hanno attirato i fulmini di Berlino.Wolfgang Schauble, il ministro delle Finanze tedesco che da tempo medita di sottrarre a Bruxelles la vigilanza sui conti dei paesi dell'eurozona per affidarla al Fondo Salvastati (Esm), organismo non politico ma tecnico e quindi neutrale, gli ha replicato forte e chiaro con un doppio rifiuto: eviti di uscire dal seminato la Commissione Ue, si preoccupi invece di vegliare al rispetto delle regole europee. Juncker finora ha proseguito impavido sulla sua strada ma, senza il sostegno dell'europarlamento di Schulz la sua debolezza di fronte ai Governi del Nord potrebbe diventare insostenibile. Molto dipenderà da chi sarà il prossimo presidente dell'assemblea di Strasburgo. Secondo gli accordi di inizio legislatura sarà un popolare, dunque un uomo del suo stesso colore politico, il che in teoria dovrebbe facilitare l'intesa.

I giochi si faranno nei prossimi giorni per proclamare il candidato il 13 dicembre. Secondo un sondaggio di VoteWatch Europe la gara è tutta aperta anche se, al di là delle candidature ufficiali già in campo, in pole position sarebbero Antonio Tajani e il leader del gruppo Ppe, il tedesco Manfred Weber. Se alla fine il 16 gennaio prossimo a Strasburgo dovesse essere eletto Weber, bavarese della Csu noto per le convinzioni rigoriste, il corto circuito con la dottrina Juncker sarebbe inevitabile. Soprattutto nei mesi della lunga campagna elettorale per le legislative di ottobre 2017: indebolita, Angela Merkel dovrà guardarsi più dagli assalti della destra Afd che dalla concorrenza della Spd. Sarà quindi costretta a difendere l'ortodossia rigorista per arginare diffidenza e sfiducia della sua opinione pubblica verso molti partner dell'eurozona. Inutile dire che per l'Italia potrebbero essere dolori. Già il giorno dopo il referendum del 4 dicembre dovrà far passare la Finanziaria 2017 attraverso le forche caudine dei ministri Eurogruppo, i quali non è affatto certo che sposeranno il giudizio “flessibile” della Commissione Ue. Sarà il primo passo di una complicata corsa ad ostacoli in un'Europa più difficile. Meno comprensiva.

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