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Le città che pensano in grande

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L'Analisi|Italia

Le città che pensano in grande

Il XXI secolo torna a essere un secolo urbano. La popolazione urbanizzata crescerà fra il 2015 e il 2025 di 65 milioni di abitanti l’anno nel mondo, dove si progettano aree urbane da 100 milioni di persone. Se è vero che il fenomeno riguarda in prevalenza le città dei Paesi emergenti, non ne è affatto esente la vecchia Europa. L’Onu dice che il 77% delle città europee con oltre 300mila abitanti è cresciuto demograficamente nel periodo 2000-2014 e che il 96% è destinato a crescere nei prossimi 15 anni. A crescere saranno, come nell’800, soprattutto le capitali.

Il Cresme presenta oggi a Roma, insieme all’associazione dei costruttori romani Acer, la prima parte - relativa all’Europa - di uno studio che analizza i piani urbani di sviluppo con orizzonte di lungo periodo (dal 2030 al 2050) di 30 città mondiali. La prima constatazione è che questi strumenti di pianificazione, ma anche di ridefinizione della vision della città in chiave demografica, infrastrutturale, ambientale, sono largamente diffusi in Europa con l’eccezione del Sud mediterraneo e, in particolare, dell’Italia. Se Milano e Torino qualche passo avanti nella direzione di una pianificazione che riconfiguri gli assetti e i modelli di sviluppo urbano l’hanno fatto, «dalla storia che la ricerca consente di raccontare, e della comparazione con quello che molte città europee stanno facendo, emerge la drammatica differenza con la situazione in cui versa Roma e con il dibattito culturale che oggi la caratterizza».

La fotografia impietosa non attribuisce responsabilità specifiche all’attuale giunta Raggi, quanto a un sistema capitolino amministrativo e politico consolidato che appare molto lontano dalla cultura della pianificazione di stampo europeo da anni. Certo, la vicenda Olimpiadi e lo stallo amministrativo dei primi sei mesi pongono la giunta Raggi in assoluta continuità con il grave deficit pregresso e sembrano semmai accentuare la distanza dall’esperienza delle principali capitali europee. A Roma non c’è nulla che somigli neanche vagamente ai piani europei: il «London Infrastracture Plan 2050», che ha per slogan «Bigger and better» e pianifica la creazione di 600 nuove scuole e college per rafforzare la leadership mondiale nella formazione dei figli delle borghesie di tutto il mondo; il piano «Grand Paris» che prevede la realizzazione di 70mila nuove abitazioni e lo sviluppo di 200 chilometri di metropolitana, 4 linee nuove e 68 nuove stazioni progettate coinvolgendo architetti di fama mondiale; il piano «SymbioCity» di Stoccolma per una città «strong andbigger», «innovativa e inclusiva», traguardata al 2040, dove l’80% dei residenti non userà l’auto, si abbatteranno le emissioni del 50% rispetto agli altri distretti urbani, con 760 chilometri di piste ciclabili, il 55% delle aree verdi e una raccolta differenziata che sfiora il 100%; il piano «Hamburg Hafencity» che punta su sviluppo del waterfront con abitazioni per 30mila persone e 50-70mila nuovi posti di lavoro, 6mila nuove abitazioni completate ogni anno; la «Coherent City» di Copenaghen anch’essa con vision al 2030 e 45mila nuove abitazioni più due terzi della mobilità su bici e mezzi pubblici; il «Berlin 2030» dove ha un ruolo di rilievo l’hub economico scientifico e innovativo, ma si segnla anche l’enorme potenziale di territorio inutilizzato; «Amsterdam 2040» con 70mila nuove abitazioni, lo sviluppo dell’Aeroporto di Schipol, maggiore efficienza energetica per il patrimonio immobiliare esistente, miglioramento della qualità dello spazio pubblico nelle zone più dense di attività all’interno del Ring A10; il «Barcelona smart city» e «The 22@ Barcelona Project» con i piani per la mobilità, per la grande architettura e per la città digitale.

I piani urbani europei - nota il Cresme - hanno una impostazione culturale comune. «Tutti progettano il loro futuro - dice il direttore del Cresme, Lorenzo Bellicini - perché si rendono conto che siamo in una fase di transizione. Il Pil passa per le città. Colpisce come il fattore demografico, quello ambientale, quello infrastrutturale siano al centro di questi piani. Per reggere la competizione che è su scala europea ma anche mondiale c’è bisogno di diventare più grandi, più accessibili, più accoglienti. Ognuno cerca una specializzazione ma al tempo stesso ci sono elementi trasversali comuni. Non c’è città che non abbia un piano per l’aria pulita. Non c’è città che non ritenga fondamentale l’espansione demografica. Poi, ovviamente contano i grandi numeri degli investimenti».

In questo confronto l’Italia è perdente e si capisce come il problema non sia più solo di ostacoli burocratici o di carenze finanziarie. Il problema è l’assenza di una visione. Se all’inizio del decennio Stoccolma programmava e realizzava 8.425 euro di investimenti in costruzione annui pro capite, Berlino era a 5.954, Londra a 5.629 e Amsterdam a 5.626, nella classifica chiudevano Milano con 3.291 euro procapite, Roma a 2.426 e la sola Varsavia a seguire con 2.102 euro (si veda il grafico in pagina). Se per Milano qualche segnale di risveglio c’è stato, la posizione di Roma non è migliorata in questi ultimi anni. Piuttosto, è il deserto per una città che rincorre le emergenze. «Quando parliamo di investimenti - dice Bellicini - diamo un’accezione molto ampia perché ormai fra costruzioni e ambiente non c’è più alcuna differenza e non si può neanche più parlare di riqualificazione perché in questo mix di investimenti c’è rigenereazione urbana, offerta di servizi e trasformazione dei comportamenti, accoglienza, dato ambientale e quello digitale-tecologico come prioritari».

Il Cresme identifica nella sua ricerca cinque componenti integrate fra loro, che sono presenti in tutti i piani urbani esaminati: 1) sono tutti piani demograficamente espansivi e, pur basati sulla trasformazione, prevedono anche nuova urbanizzazione; 2) esiste sempre un piano (o un insieme di piani) per affrontare digitalizzazione e rivoluzione industriale che sfocia nel disegno della “smart city”; 3)esiste un piano climatico e della sostenibilità (o più politiche che riguardano l’ambiente e l’energia), che disegna le azioni per ridurre le emissioni di CO2 e rendere resiliente la città ai rischi idrogeologici; 4) i piani infrastrutturali, la parte hard dello sviluppo, progettano tutti un up-grade di infrastrutture e case. Nella stagione di grandi investimenti per le città ci sono nuova mobilità e nuove tipologie di edifici; 5) una riflessione riguarda la forma e l’architettura della città del futuro ( i nuovi progetti di «grattaceli-alberi verdi-tecnologia» per esempio). «Ci si interroga, in sostanza, sulla nuova architettura dell’era cyber-fisica integrata con il verde e l’agricoltura: una nuova “simbiocity” come ha sta sviluppando il modello svedese».

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