Commenti

Un omaggio a Puccini e al teatro

  • Abbonati
  • Accedi
L'Analisi|Cultura & Società

Un omaggio a Puccini e al teatro

Si potrebbe definire la prima di Sant’Ambrogio di quest’anno alla Scala, con il ritorno della versione originale in due atti di Madama Butterfly di Giacomo Puccini, un omaggio alla storia del teatro e al grande compositore lucchese. L’opera, non a caso, andò in scena proprio nel tempio del Piermarini il 17 febbraio del 1904 (e non ebbe un buon esito); ora Riccardo Chailly – un direttore che sta riportando con grande mestiere e con attenzioni storico-filologiche tutta l’opera di Puccini alla Scala – la ripropone per l’apertura della nuova stagione facendone riscoprire aspetti che si erano perduti. Non staremo a strologare su quanto recherà all’immaginazione la regia di Alvis Hermanis; né è il caso di parlare ora delle voci di Maria Jose Siri (Cio-Cio-San), Annalisa Stroppa (Suzuki), Bryan Hymel (Pinkerton) o Carlos Alvarez (Sharpless); basterà aggiungere che il cast è tra i migliori possibili in questo momento.

Certo, la storia di Madama Butterfly è complessa e nelle interpretazioni figurano voci e bacchette ormai appartenenti al mito. Innanzitutto diremo che l’insuccesso di Milano di quel lontano 1904 fu dovuto a una claque prezzolata da Sonzogno, il quale si vendicava del maestro che aveva stipulato un accordo con Ricordi. Egli non teneva conto della bontà dell’opera ma desiderava regolare i conti in un modo quasi normale nelle abitudini del teatro ottocentesco. A loro volta, lo stesso Ricordi e Puccini pensarono di sfruttare lo scacco (come avvenne in occasione delle Villi nel 1884) per rilanciare Butterfly in altra città. Fu scelta Brescia, gli atti diventarono tre e la conclusione del secondo fu affidata al coro a bocca chiusa. Il tutto avveniva il 28 aprile di quel medesimo anno. Sull’insuccesso ci fu un comunicato di Ricordi, il quale, non senza finezza letteraria, fece sapere che lo spettacolo in sala era organizzato «quanto quello del palcoscenico, poiché principiò esso pure precisamente col principiare dell’opera». E siccome l’impero zarista e quello del Sol Levante si guardavano in cagnesco, anzi era già passati alle armi pochi giorni prima e la guerra si protrarrà sino al settembre del 1905, l’editore aggiunse: «Sembrava di assistere a una battaglia di tutta attualità come se i russi in serrati battaglioni d’oste nemica volessero dare l’assalto al palcoscenico per spazzar via tutti i giapponesi pucciniani».

Il successo di Brescia riguardava comunque un’opera modificata, che conoscerà ulteriori ritocchi e che diventerà una delle più eseguite ed emozionanti del compositore toscano. Dicevamo dei nomi mitici: basterà rammentare il fatto che nel luglio 1905 a Londra tra gli interpreti figurava Caruso e che alla Scala l’opera tornerà nel 1925 diretta da Toscanini. Nel 1906 a Parigi si diede una versione francese in cui si cercarono di rintuzzare i toni antiamericani e talune ironie sui costumi giapponesi; inoltre Butterfly andò in scena a Washington in quello stesso anno. Aggiungiamo un semplice eccetera perché si tratta di una storia infinita.

Ci sono stati dei tentativi di porre a confronto la prima e la seconda versione (ricordiamo quello alla Fenice di Venezia nel 1982), ma è bene ricordare che l’opera fu continuamente rimaneggiata, tagliata, risistemata, tanto da far smarrire gli amanti della precisione. Di certo, come sottolinea Dieter Schickling nella sua biografia su Puccini, non è possibile determinare quale versione il musicista maturo ritenesse corretta, giacché ogni singola recita in cui fu coinvolto diventò per lui un esperimento «sino alla fine».

Morale della storia: Chailly riporta alla Scala un’opera che evoca un Puccini da riscoprire. La drammaturgia “femminina” delle «piccole donne che non sanno che amare e soffrire» ritrova una sua identità, o meglio la sua anima. Ma Butterfly si può tradurre farfalla e per Dante l’anima, nel canto X del Purgatorio, altro non è che un’«angelica farfalla».

© Riproduzione riservata