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La carità delle cure palliative

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Cultura & Società

La carità delle cure palliative

Mi è capitato tante volte di rivolgere ad amministratori diversamente impegnati – dopo averli rivolti a me stesso – inviti accorati perché ai temi della vita, soprattutto a quelli che coinvolgono intere famiglie, venissero risparmiati l’umiliazione e il danno di essere affrontati in maniera ideologica e perciò stesso superficiale. Le risposte evidentemente non possono venire solo da una parte, sia essa di natura politica o religiosa, di carattere filosofico o economico. Il tema della vita, dalla procreatica alla morte, rischia sconfitte ogni volta in cui si rinunzia a un approccio olistico.

Nei giorni scorsi mi è capitato di partecipare a un convegno nel quale, con coraggio scientifico e con senso di grande responsabilità, ci si è misurati con il tema della vita nel suo momento-limite: la vita di fronte alla morte. Essa resta una certezza universale rispetto alle tante incertezze che accompagnano la nostra vita: «Incerta omnia, sola mors certa», ha scritto sant’Agostino. Una certezza che facciamo tanta fatica ad accettare, se è vero che (a parte i discussi casi di crioconservazione) alcuni studiosi definiscono la nostra come una “società postmortale”. In essa infatti la morte è vista come una malattia da debellare invece che come confine (“limes”) che, proprio perché tale, definisce la vita nel suo compiersi. È una società, la nostra, che preferisce rifugiarsi in una sorta di amortalità, in cui il limite della vita, grazie alle biotecnologie, viene spostato sempre oltre. In questa società la morte si è progressivamente trasformata da fenomeno sociale a fatto sempre più privato: lasciando spazio alla tecnica e alla tecnologia e collocandola quasi esclusivamente negli ospedali.

La morte ha perso assieme alla sua dimensione sociale anche quella rituale e simbolica, ritrovandosi, di fatto, disumanizzata. Stiamo vivendo una “fase di transizione” culturale rispetto al rapporto che ognuno di noi ha con la fine della vita: da un passato, nel quale per generazioni le persone hanno accettato in molti casi con stoicismo e rassegnazione il proprio destino, a un presente, quello della generazione dei “baby boomers”, nel quale le persone vivono con l’aspettativa che qualunque problema, perfino quelli collegati con il limite della propria esistenza, possano trovare una soluzione nel progredire della scienza, nell’illusione di una possibile “vita fisica senza fine”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che nel mondo, fra il 2000 e il 2050, il numero delle persone con una età superiore agli 80 anni aumenterà di 4 volte e che in Italia gli ultraottantenni passeranno dall’attuale 6% al 14% della popolazione totale. Questi cambiamenti, che sono associati in gran parte ai progressi scientifici e della medicina, stanno già ora condizionando, e ancora di più lo faranno in futuro, profonde modifiche nelle cause di mortalità degli abitanti del nostro Paese: sempre più persone “convivono” per anni con malattie croniche e degenerative, spesso concomitanti, che li conducono alla fine della loro vita e alla morte.

La Federazione Cure Palliative Onlus si è misurata con questi temi con quell’approccio olistico del quale parlavo prima. Si è riflettuto sulla pratica della “Cure Palliative” che hanno l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei malati che si avviano alla fine della loro vita e che si trovano ad affrontare, assieme alle loro famiglie, i tanti problemi collegati alla presenza di malattie non più guaribili e che sono spesso causa di grave sofferenza non solo fisica, ma anche psicologica, sociale e spirituale.

Mentre avevo negli occhi i tanti ammalati che io stesso ho accompagnato negli ultimi giorni della loro vita, negli interventi che si sono susseguiti presso l’Università statale di Milano, sede dell’incontro, mi ha colpito la convinzione con la quale sono state ribaditi gli obiettivi delle cure palliative: l’affermazione del valore della vita, la morte considerata come un evento naturale; le cure palliative non prolungano né abbreviano l’esistenza, provvedono piuttosto al sollievo del dolore e degli altri sintomi, offrono un sistema di supporto per aiutare il paziente a vivere più attivamente possibile fino alla morte e supportano la famiglia a convivere con la malattia e ad elaborare, in seguito, la morte del proprio congiunto.

Quando ciò viene fatto, lo sviluppo delle cure palliative in un Paese diventa un indicatore attendibile di come una società o una comunità si fa carico dei propri cittadini. Soprattutto se si tiene conto che non sempre e non dovunque purtroppo le cure palliative sono di fatto assicurate come un “Diritto umano fondamentale”. Un contributo alla comprensione e alla necessità di estendere sempre di più il ricorso alle cure palliative lo ha dato il documento («Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita») elaborato e pubblicato nel 2016 dal Comitato Scientifico della Fondazione “Cortile dei Gentili” (Fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura). Tra le affermazioni più importanti contenute in questo documento mi ha colpito positivamente la chiarezza con la quale si affronta il tema della “Proporzionalità delle cure”, a proposito della quale si afferma che essa: «è requisito essenziale della cura e quindi della legittimità dei trattamenti. Il trattamento non proporzionato è dunque arbitrario ed illecito. Il medico ha il dovere di non avviare trattamenti che si prospettino come non proporzionati e di interromperli, rimodulando le cure, ove tali si rivelino in una fase successiva alla loro prima attuazione. Il giudizio di proporzionalità include una valutazione del beneficio e della sofferenza relativi alla specifica persona curata e non può prescindere dall'ascolto del paziente, di chi lo affianca su sua richiesta ovvero, in caso di incapacità, di chi è legittimato a rappresentarlo o a tutelarlo».

È per questo che le cure palliative, «forma privilegiata della carità disinteressata» nei confronti delle persone che si avviano alla fine della vita, devono essere garantite a tutti coloro che ne hanno bisogno, indipendentemente se il loro luogo di residenza è in Lombardia, Calabria o Puglia.

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