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Il peso del «fattore mondo»

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L'Analisi|Scenari

Il peso del «fattore mondo»

Il “fattore mondo” si ripropone come il più complicato da affrontare per Donald Trump. Ricordate quando, durante la campagna presidenziale, “The Donald”

Fu uno dei momenti più burrascosi di una competizione non certo caratterizzata dal fair-play. Ebbene si direbbe che la politica estera non intenda attendere l’insediamento del presidente designato (si insedierà il 20 gennaio) per esigere il suo conto all’inesperienza e allo stile a dir poco informale di Donald Trump. L’ultimo episodio è di venerdì scorso: una telefonata di congratulazioni della presidente taiwanese Tsai Ying-wen che ha causato l’irritazione di Pechino. Com’è noto, nell’applicazione tetragona del principio di “una sola Cina”, i dirigenti della Repubblica Popolare considerano un affronto e una provocazione qualunque contatto diretto con quella che considerano “una provincia ribelle”.

È molto probabile che si sia trattato di una gaffe, analoga a quella che, sempre per telefono, ha portato Trump a incoraggiare il presidente filippino Rodrigo Duterte a «perseverare sulla retta via», fatta tra l’altro di repressione all’interno, di aspra polemica nei confronti degli Stati Uniti e di un avvicinamento troppo entusiasta alla Cina. La lista degli sgarbi o dei comportamenti irrituali potrebbe continuare, e quello del telefono sembra essere il filo conduttore della diplomazia trumpiana. Che sia l’entusiastico apprezzamento per il longevo dittatore kazako o l’annuncio di aver accettato l’invito del presidente pachistano Sharif senza che questo fosse bilanciato da quello di un’analoga visita a New Dehli o persino il tono da bar della chiacchierata con la premier britannica Theresa May («fammi sapere quando passi di qui»), poco cambia: tutto appare contrassegnato dall’approssimazione e dal dilettantismo. Sembra che Trump voglia deliberatamente far rinverdire lo stereotipo dell’americano cafonazzo e pasticcione che le élite europee condividevano nel primo quarto dell’800. Peccato che gli Stati Uniti non siano più quella contrada periferica descritta da Alxis de Tocqueville nella sua “Democrazia in America” ma rappresentino la prima superpotenza del mondo.

Purtroppo però c’è da ritenere che, accanto alle cadute di stile, Trump possa compiere anche scelte avventate dettate, questa volta, dall’ideologismo. Si sperava che proprio l’insieme raccogliticcio delle sue convinzioni e posizioni in politica estera potesse almeno metter lui (e noi) al riparo dall’eccesso di quell’ideologia ultraconservatrice che connota sempre di più il partito repubblicano. A giudicare da alcune scelte annunciate in questi giorni, occorre dire che una simile speranza appare malriposta. Dopo la nomina del controverso esponente radicale Stephan Bannon a “chief strategist and senior advisor”, Trump ha indicato il generale a riposo dei Marines James Mattis (dal poco rassicurante soprannome di “cane pazzo”) come futuro segretario alla Difesa. Non si riesce a capire molto bene come un militare che giudicava troppo timida la strategia dell’amministrazione Obama in Medio Oriente possa essere il più indicato a gestire la strategia della benevola attenzione verso Mosca e della limitazione dell’impegno americano nel mondo annunciate da Trump durante la campagna elettorale. Delle tante promesse (o sparate) fatte da Trump prima di essere eletto, preoccupa quella relativa alla denuncia del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA, l'accordo sul nucleare iraniano). Il neopresidente starebbe studiando nuove sanzioni unilaterali americane nei confronti di Tehran: si parla di un programma decennale, “giustificato” dalle violazioni dei diritti umani e dal programma missilistico. È del tutto evidente che, se simili misure venissero adottate, la tensione nel Medio Oriente salirebbe alle stelle. Ma al di là di questo, i molti nemici dell’Iran nella regione potrebbero sentirsi autorizzati ad alzare il livello dello scontro verso un Iran ricacciato tra gli “Stati canaglia”. E tutto questo, ironicamente, mentre Trump ostenta apertura verso la Corea del Nord che prosegue imperterrita sulla via della sfida nucleare. Il mix di errori dovuti all’incompetenza e di scelte ideologiche potrebbe rivelarsi davvero esplosivo, oltre che incoerente, ben al di là delle peggiori aspettative.

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