Commenti

La «sfiducia» popolare del 60% che accorcia i tempi verso il voto

  • Abbonati
  • Accedi
la crisi «annunciata»

La «sfiducia» popolare del 60% che accorcia i tempi verso il voto

(Italy Photo Press)
(Italy Photo Press)

Prima ancora che si svolgano le consultazioni per il nuovo Governo, c’è un dato politico che non sfugge né al Pd né al Quirinale. Che si è rotto un rapporto fiduciario tra la maggioranza popolare e quella parlamentare. Quel 60% di No ha un peso di cui si terrà conto, innanzitutto nell’immaginare l’orizzonte temporale dell’Esecutivo che verrà dopo Renzi. Sfuma il traguardo del 2018 e si avvicina il voto anticipato. Troppo arduo governare con un Paese «contro».

E’ sfumata la scadenza naturale del 2018. L’esito del referendum ha tagliato i tempi della legilatura. Tutti chiedono il voto anticipato perchè tutti sanno che non si può ignorare lo strappo che si è consumato tra italiani e Parlamento. E dunque questo elemento non entra solo nelle valutazioni socio-politiche, su quanto il malessere stia punendo i Governi in carica in Italia e nel mondo, ma diventa il vero punto di partenza delle consultazioni che si apriranno al Quirinale nel fine settimana o al massimo lunedì.

Una crisi che scaturisce da un voto popolare - come quello del referendum - ha questa caratteristica. Che quel 60% diventa prevalente rispetto all’orientamento dei gruppi parlamentari perché loro stessi non ne possono prescindere. È vero che la Costituzione impone la verifica di una maggioranza, ma è anche vero che l’agibilità di un Governo che ha un Paese “contro” ha dei limiti troppo marcati. E in fondo anche le mani troppo legate nella scelta di decisioni che necessitano del presupposto di un consenso maggioritario fuori dalle assemblee parlamentari. La legge di stabilità del 2018, per esempio. Chi può farla ignorando quel 60% di No? E potrà essere votata dalla stessa maggioranza che i cittadini hanno bocciato in modo netto domenica sera? Anche se molti preferirebbero vivacchiare il voto di ieri segna la fine di una fase.

Quella partecipazione alle urne così estesa, così ampia e anche così inaspettata ha svelato quanto sia diventato sottile il filo che lega aule parlamentari e urne. Una rappresentanza esile, sfibrata che diventa un messaggio politico anche sul tavolo della legge elettorale, non solo su quello del prossimo Governo. I partiti che dovranno riscrivere le regole dell’Italicum ne dovranno tener conto anche se oggi i 5 Stelle lo rilanciano dopo averlo messo all’indice. È il segnale che la rappresentatività degli elettori non si può comprimere oltre un limite e che la tutela della governabilità non può alterare troppo il disegno reale del Paese.

Nel voto di domenica, oltre la bocciatura del Governo Renzi, c’è la rivendicazione di un ruolo, la richiesta di essere parte attiva nelle scelte dei propri rappresentanti e governanti. Già il Porcellum aveva ridotto la libertà di scelta con le liste bloccate ma poi i tre Esecutivi non eletti hanno fatto il resto. Così come tutte le vicende di cambi di casacca e trasformismi.

Di certo sono riflessioni che sono state fatte al Quirinale in queste ore. E che non verranno ignorate sia pure nel rispetto formale della Costituzione e dei valori da tutelare come quello di garantire una legge di stabilità o dare al Paese una legge elettorale coerente tra Camera e Senato. Quel 60% cambia - però - quello che è stato un paradigma degli ultimi anni. Se prima era prevalente garantire all’Europa un Governo in linea con gli impegni assunti, adesso questo criterio viene silenziato dalla voce che viene dalla maggioranza reale, non solo da quella parlamentare.

© Riproduzione riservata