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A rischio povertà il 28,7% degli italiani

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L'Analisi|Italia

A rischio povertà il 28,7% degli italiani

Se pensavate che la vittima della crisi politica post-referendum sarebbe stata la Borsa, guardavate dalla parte sbagliata. A pagarne i costi, invece, rischiano di essere i poveri. È, infatti, in pericolo la possibilità di introdurre la riforma destinata a migliorarne le condizioni, attualmente in discussione al Parlamento.

L’Italia è il solo Paese in Europa, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale universalistica – destinata cioè a chiunque si trovi in tale situazione – contro la povertà assoluta, ossia l’indigenza vera e propria, dovuta alla mancanza delle risorse economiche necessarie per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile (legato ad alimentazione, abitazione, vestiario, trasporti e così via). La sua introduzione è stata richiesta – da più parti – sin dall’inizio degli anni 90, senza trovare ascolto da nessuno degli Esecutivi susseguitisi nel tempo. Intanto, però, le persone coinvolte sono salite da 1,8 milioni del 2007 (pari al 3,1% del totale) a 4,6 milioni del 2015 (il 7,6%). I dati su condizioni di vita e reddito pubblicati ieri dall’Istat – ripresi nelle tabelle a lato – mettono ulteriormente a fuoco il profilo del disagio sociale nel nostro Paese. Mostrano infatti, come il 28,7% degli italiani viva in uno stato definito a rischio di povertà o esclusione sociale. Tra loro figura anche un 7,6% di persone in povertà assoluta che contribuiscono a fare dell’Italia il Paese con le disuguaglianze di reddito più ampie d’Europa.

Il Governo Renzi ha compiuto un netto cambio di passo rispetto al passato nella lotta alla povertà assoluta. Sono stati previsti finanziamenti senza precedenti, introducendo uno specifico fondo e dotandolo di 1 miliardo di euro nel 2017 e di 1,5 miliardi a partire dal 2018. È stato, allo stesso tempo, presentato un disegno di legge delega per l’introduzione di una misura nazionale, il Reddito d’Inclusione (Rei).

Ad accrescere l’attenzione sul tema hanno contributo, tra gli altri, il Movimento Cinque Stelle – che ha fatto della lotta all’esclusione sociale una bandiera – e l’Alleanza contro la povertà in Italia. L’Alleanza è nata nel 2013 ed è costituita da 37 organizzazioni tra realtà associative, enti di rappresentanza del terzo settore, rappresentanze dei Comuni e delle Regioni e Sindacati. Mai, in precedenza, un fronte tanto ampio di attori sociali, istituzionali e sindacali si era unito per promuovere adeguate politiche contro l’indigenza.

Gli stanziamenti resi disponibili sono attualmente destinati al Sostegno per l’inclusione attiva (Sia), rivolto ad alcune famiglie in condizione di grave povertà e con almeno un figlio minore. Il Sia, nelle intenzioni del Governo Renzi, dovrebbe costituire una misura transitoria da sostituire - presumibilmente dall’inizio del 2018 - con il Rei.

L’Esecutivo uscente ha presentato il disegno di legge delega lo scorso febbraio e la Camera ne ha terminato la discussione a luglio. Il lavoro dei deputati ha migliorato in modo significativo il testo governativo, in particolare nella definizione del modello d’intervento da realizzare: fornire a chi è caduto in povertà un adeguato contributo monetario, parallelamente alla predisposizione di incisivi percorsi d’inserimento sociale e lavorativo da parte dei Comuni e delle altre realtà del welfare locale (come Terzo Settore e Centri per l’impiego). In questa logica, la risposta al bisogno economico e gli strumenti per modificare il proprio percorso di vita sono le parti complementari di una stessa risposta.

I correttivi introdotti alla Camera dovrebbero permettere di superare le criticità del Sia – legate perlopiù all’assenza di appropriati sostegni e finanziamenti destinati ai Comuni e agli altri attori del welfare locale - la cui attuazione sta infatti incontrando in vari territori rilevanti difficoltà attuative.

Affinché il Rei rappresenti una risposta adeguata all’indigenza, diversi miglioramenti ulteriori sono necessari, ma un punto risulta decisivo: bisogna fornire la possibilità di riceverlo a chiunque sperimenti la povertà assoluta. Le risorse sinora stanziate permettono di intercettare solo una quota della popolazione indigente, impossibile da stimare adesso, ma certamente inferiore al 35% del totale; il Governo Renzi era intenzionato a utilizzarle per raggiungere il maggior numero possibile di famiglie povere con figli. Fermandosi qui, però, il nostro Paese continuerebbe a essere privo di una misura universalistica contro la povertà.

Si dovrebbe, invece, ampliare l’utenza in modo da raggiungere tutti i poveri. A tal fine sono necessari altri 5 miliardi, una spesa rilevante ma che può essere affrontata se – come propone l’Alleanza – questo incremento viene spalmato nel tempo, attraverso un Piano nazionale di quattro annualità, in ognuna delle quali gli stanziamenti sono superiori alla precedente e l’utenza viene progressivamente ampliata. A partire dal quarto anno, il Rei sarebbe definitivamente a regime. A favore del gradualismo esistono ragioni di sostenibilità non solo economica ma anche attuativa poiché procedere per gradi significa assicurare a tutti i soggetti coinvolti nei territori adeguati tempi di apprendimento e adattamento organizzativo, imprescindibili al fine di raggiungere il necessario sviluppo del welfare locale.

Ora il percorso riformatore rischia di interrompersi, riproponendo con il Sia la tradizione italiana di misure nate dichiaratamente transitorie in attesa di una riforma strutturale e che poi, invece, rimangono nel tempo. Paradossalmente, proprio mentre si susseguono le analisi che interpretano il “No” al referendum come un segno di scontento verso le istituzioni da parte delle fasce deboli della società, è proprio una tra queste (la più debole) che potrebbe pagare le maggiori conseguenze della crisi politica in atto.

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