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Dividendi populisti e soluzioni costruttive

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L'Analisi|Italia

Dividendi populisti e soluzioni costruttive

Non sarà semplice per i partiti gestire la fase post referendum. Facile buttarsi a dire che si vuol andare al più presto alle urne, perché così si compiace quella che si ritiene una ritrovata voglia di intervento della gente testimoniata dall’alta affluenza alle urne. Difficile mettersi d’accordo sul come, perché un’intesa sulle nuove leggi elettorali è problematica, visto anche che ci sono necessità di garantire un buon livello di governo con tutti i problemi interni ed esterni che abbiamo e quello è un risultato che non può prescindere da un sistema elettorale capace di produrlo.

I partiti non sono in buone condizioni per accingersi a questa impresa, perché sono intrappolati nel populismo che hanno con tanta leggerezza immesso nell’arena pubblica. Il successo del no è stato in gran parte determinato dal convergere di due tipi di populismo. Il primo è quello del «buttiamo tutto all’aria, che è il solo modo di sbarazzarci dei problemi che ci assillano» (e ingenuamente Renzi lo ha accettato illudendosi di neutralizzarlo col proporre se stesso come il soggetto che avrebbe buttato tutto all’aria). Il secondo è la ripresa con cambiamento di imputato della vecchia battaglia antiberlusconiana che vedeva sempre in atto attacchi alla costituzione e complotti per mettere un uomo solo al comando (con dubbia nemesi storica sono gli argomenti che da sinistra come da destra sono stati usati contro l’attuale premier/segretario).

Con queste premesse i partiti del cartello del no faranno fatica a trovare una proposta politica per rimettere in piedi una accettabile dialettica interna al sistema. Difatti assistiamo già allo scaricabarile reciproco: ciascuno proclama traguardi populisti disponibili dietro l’angolo (elezioni subito, eccellenti squadre di governo già in formazione, democrazia il più possibile diretta e ramificata), ma si affretta a dire che difficilmente saranno raggiungibili perché “gli altri”, specialmente quelli dell’attuale maggioranza parlamentare, non consentiranno che si ottengano.

Anche il Pd non si trova in buone acque. La sconfitta di Renzi è stata interpretata come pesante, non tanto per il risultato in sé (un 40% di consensi è una soglia elettorale molto alta, con l’attuale Italicum sarebbe già sufficiente ad ottenere il premio di maggioranza), quanto per il fatto che l’andamento dei consensi delle urne ha confermato una volta di più che esiste una dinamica che tende a far confluire tutte le opposizioni, per quanto in teoria differenziate, in una alleanza unitaria contro il leader del governo.

Naturalmente si potrebbe dire che non è una storia nuova, perché in questo paese la si è vista all’opera più volte, anche limitandosi alla storia repubblicana. La subì pure De Gasperi con il suo tentativo di legge maggioritaria nel 1953, poi fu la volta di Fanfani, di Craxi, dello stesso Prodi. Berlusconi riuscì per lungo tempo ad evitarla, ma aveva dalla sua un rapporto “proprietario” col suo partito che era un fatto inedito.

Dunque il Pd deve ora trovare anch’esso un equilibrio difficile tra i revanchismi della vecchia guardia e dei suoi alleati e i molti rivoli che il renzismo aveva costretto a coalizzarsi senza però riuscire a fonderli (anche per la sua miopia di chiudersi nel cosiddetto giglio magico). Ciò significa che quel partito sarà probabilmente troppo coinvolto nelle sue lotte intestine per risultare credibile nel proporre un piano per la gestione di questo difficile passaggio del guado che dovrebbe portarci, finalmente, sulla riva di una stabilizzazione ragionevole della geografia delle forze in campo.

Non si vede ancora come si potrà gestire la difficile fase di passaggio che è inevitabile prima che si possa tornare alle urne. In essa ci sarà necessità in contemporanea di avere un governo che sia in grado di presentarsi con la dovuta autorevolezza nel complicato contesto nazionale (a cominciare dalla crisi economica) e internazionale (a cominciare dalle fibrillazioni nella Ue), e di avere partiti in grado di confrontarsi con realismo sulle nuove regole del gioco. A dimostrare che si tratti quasi della quadratura del cerchio basterà citare il “comma 22” della legge elettorale sul Senato. Da un lato dovrà essere in grado di evitare che la seconda Camera abbia una maggioranza in contrasto con la prima perché con la doppia fiducia si produrrebbe una ingovernabilità garantita. Dal lato opposto in quel caso si avrebbero due Camere fotocopia la cui utilità sarebbe difficile da capire e che facilmente verrebbero viste solo come duplicazione dei costi.

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