Commenti

Tagli alle tasse di Trump, attenti al boomerang

  • Abbonati
  • Accedi
l’analisi

Tagli alle tasse di Trump, attenti al boomerang

Steven Mnuchin, designato come futuro segretario al Tesoro Usa, all’interno della Trump Tower
Steven Mnuchin, designato come futuro segretario al Tesoro Usa, all’interno della Trump Tower

Come la famosa riforma fiscale bipartisan dell’amministrazione Reagan, nel 1986, che portò maggiore semplicità, equità ed efficienza economica allargando la base imponibile e riducendo le aliquote, una riforma del sistema fiscale oggi avrebbe le potenzialità per aiutare le famiglie americane e l’economia. Se disegnate nel modo giusto, riforme «a impatto zero» per le finanze pubbliche potrebbero contribuire a compensare lo spettacolare incremento della disuguaglianza avvenuto nell’arco di una generazione, correggere un sistema di tassazione delle imprese che la globalizzazione ha reso disfunzionale, ridurre l’incertezza e promuovere la crescita.

Sfortunatamente, quello che sappiamo delle intenzioni del presidente eletto e della leadership repubblicana induce a pensare che rischiano di varare l’insieme di misure fiscali più improvvido nella storia degli Stati Uniti.

Le proposte fatte in campagna presidenziale e ribadite la settimana scorsa dal segretario al Tesoro in pectore della nuova amministrazione, che favoriranno in modo assolutamente sproporzionato l’1 per cento più ricco della popolazione, minacciano di scatenare una crescita esplosiva del debito federale, complicare la normativa fiscale e fare poco o nulla per stimolare la crescita.

Un principio fondamentale su cui tutti concordavano, nel 1986, era che la riforma non doveva ridurre l’onere fiscale a carico dei contribuenti ad alto reddito. Reagan riuscì a centrare l’obbiettivo pur riducendo le aliquote marginali più alte perché incrementò la tassazione delle plusvalenze, ridusse gradualmente gli incentivi agli investimenti, potenziò la riscossione delle imposte sui redditi societari, limitò gli scudi fiscali e non toccò le imposte di successione e quelle sulle donazioni.

“Un principio fondamentale su cui tutti concordavano nel 1986 era che la riforma non doveva ridurre l’onere fiscale sui contribuenti ad alto reddito. E Reagan ci riuscì”

 

Sfortunatamente, né il piano di Trump né quello proposto da Paul Ryan, presidente della Camera dei rappresentanti, garantiscono un allargamento della base imponibile sufficiente a finanziare per intero le riduzioni delle tasse a favore dei più ricchi previste da questi piani.

Steven Mnuchin, l’uomo designato per diventare segretario del Tesoro, sostiene che non ci sarà nessun taglio netto delle tasse per i ricchi, perché contestualmente verranno gradualmente eliminate le deduzioni. Il problema è che eliminare interamente le deduzioni per i redditi superiori a 1 milione di dollari non frutterebbe entrate sufficienti nemmeno a coprire il taglio dell’aliquota più alta dal 39 al 33%, figuriamoci compensare i benefici che ricaverebbero i ricchi dalle enormi riduzioni delle aliquote sui redditi societari e dall’eliminazione delle imposte di successione e sulle donazioni.

Le stime sugli effetti del piano Trump indicano che farà crescere del 14% (in valori assoluti, più di 215.000 dollari) il reddito netto dello 0,9% della popolazione, quelli con redditi superiori a 1 milione di dollari. Per contro, quelli nella parte centrale della distribuzione del reddito avranno un guadagno solo del 2% circa (1.000 dollari).

L’abrogazione delle imposte di successione e sulle donazioni è particolarmente discutibile, perché offrirebbe ai ricchissimi l’opportunità di usare donazioni e fondazioni per trasferire la loro ricchezza, interamente e senza pagarci sopra alcuna tassa, non solo ai propri figli, ma anche ai propri nipoti e bisnipoti, indipendentemente da eventuali modifiche successive della legge.

La riforma fiscale di Reagan semplificò il codice tributario eliminando la necessità di regole per distinguere redditi ordinari e redditi da plusvalenze (perché venivano tassati con la stessa aliquota) e facendo piazza pulita delle protezioni fiscali riservati a settori specifici. Al contrario, la proposta di Trump creerebbe opportunità di questo tipo riducendo al 15% l’aliquota su qualsiasi reddito che possa essere ricondotto a una società di qualunque genere. Invece di ridurre i sussidi mirati, introdurrebbe un discutibilissimo credito di imposta dell’82% – il più alto del mondo – per gli investimenti azionari in infrastrutture.

“L’abrogazione delle imposte di successione è discutibile perché offrirebbe ai ricchissimi l’opportunità di usare donazioni e fondazioni per trasferire la loro ricchezza”

 

Tutto questo, oltre a tradursi in tagli delle tasse sproporzionati proprio per quello stesso gruppo di individui ad alto reddito che nel corso dell’ultima generazione ha visto crescere la propria ricchezza più rapidamente di tutti gli altri, aggraverebbe pesantemente le prospettive future del bilancio federale. Il taglio delle tasse preventivato da Trump equivale per dimensioni (in rapporto al Pil) a quello di Reagan del 1981.

Vale la pena ricordare che Reagan, non certo uno che amava tornare sui suoi passi o aumentare le tasse, ritenne necessario proporre incrementi significativi delle imposte nel 1982 e nel 1984 (per un ammontare che nell’economia attuale equivarrebbe a 3.500 miliardi di dollari nell’arco di un decennio), a causa dei timori per la crescita del debito pubblico.

La Trumponomics spiegata con un cartoon: con Donald l'economia corre grandi rischi

Oggi la situazione delle finanze pubbliche è molto più preoccupante, perché partiamo da livelli di debito e di deficit ben maggiori. All’epoca l’economia era afflitta da una pesante recessione, ora siamo vicini alla piena occupazione. Se nei prossimi mesi dovessero essere approvate riduzioni radicali delle tasse, l’incertezza sulla tenuta del bilancio federale e la prospettiva di ulteriori correzioni delle tasse probabilmente aumenterà.

Infine, non riesco a trovare nessuna base, né storica né logica, nell’affermazione di Mnuchin che le riforme proposte farebbero salire il tasso di crescita dell’economia dal 2% attuale alla norma storica del 3-4 per cento. La crescita della popolazione adulta ha rallentato di quasi un punto percentuale, i guadagni generati dall’ingresso di un maggior numero di donne nella forza lavoro ormai si sono esauriti e non si capisce minimamente perché la riforma fiscale dovrebbe dare una spinta colossale alla crescita della produttività.

“La proposta Trump redistribuirà il reddito a favore dei benestanti, spingerà in alto i tassi di interesse e potrebbe rallentare la crescita invece di accelerarla”

 

In realtà, considerando che la proposta di Trump ridistribuirebbe il reddito netto in favore di quelli che più facilmente lo accantonano invece di spenderlo, che spingerebbe in alto i tassi di interesse a lungo termine a causa delle pressioni debitorie, che accrescerebbe l’incertezza e i vantaggi della produzione estera, potrebbe tranquillamente rallentare la crescita invece di accelerarla.

Negli anni 80, Don Regan, il segretario al Tesoro, disse che la prima proposta di riforma dell’amministrazione Reagan era scritta su file, per segnalare che la Casa Bianca era aperta a trattare e accettare modifiche radicali. La speranza di noi tutti è che l’amministrazione Trump segua l’approccio di Reagan, sia per quanto riguarda i principi della politica fiscale sia per quanto riguarda l’impegno a una negoziazione bipartisan.

L’autore è titolare della cattedra Charles W. Eliot all’Università di Harvard ed ex segretario al Tesoro Usa sotto la presidenza Clinton.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Copyright The Financial Times Limited 2016.

© Riproduzione riservata