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L’immobilismo europeo e il mondo che cambia

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L'Analisi|analisi

L’immobilismo europeo e il mondo che cambia

Il mondo cambia, l'ordine del dopoguerra perde pezzi, il ciclone Trump sta per investire entrambi mettendone in discussione tutte le fondamenta, politico-diplomatiche, economico-finanziarie e commerciali, la Russia di Putin esonda in Siria e Medio Oriente dopo aver dettato legge in Crimea e Ucraina. La Cina… Si potrebbe continuare a lungo.

Niente però sembra riuscire a scuotere l'Europa dei 28 dal suo torpore autistico, come se il mondo là fuori non la riguardasse e l'isolamento fosse la risposta vincente al subbuglio globale e non un lusso dai costi proibitivi.
Certo, ci sono elezioni in quasi tutti i suoi maggiori Paesi, in Francia e Germania e prima in Olanda e forse in Italia, e il blocco delle decisioni collettive che regolarmente ne deriva.

Ma la corsa alle urne non basta a spiegare perché dei ben 45 vertici europei tenutisi negli ultimi 6 anni nessuno sia riuscito a risolvere definitivamente nemmeno una delle grandi crisi che affliggono l'Unione: dal debito greco alla riforma della governance dell'eurozona, dalla crescita economica all'Unione bancaria zoppa, dai flussi dei migranti in semi-libertà alla politica estera, di sicurezza e difesa comuni malgrado le molte guerre alle frontiere, l'inarrestata macelleria di Aleppo sopra a tutte.

Tantomeno spiega come mai, rompendo una lunga e consolidata tradizione, il 45° summit di quella lunga serie si sia chiuso ieri a Bruxelles senza farsi immortalare nella solita “foto di famiglia”. Quasi che perfino una grigia istantanea dei 28 leader Ue ordinatamente allineati gli uni accanto agli altri possa nuocere alla ricerca del consenso di chi si deve misurare con i malumori delle opinioni pubbliche interne e con populisti ed euroscettici che ci speculano sopra.

Brutto segnale. L'Europa oggi non può permettersi di stare in stand-by per un anno, arroccandosi dentro i suoi tanti confini nazionali. Deve mostrare unità, agire e decidere al più presto sul suo futuro post-Brexit, recuperando identità e valori perduti: unico modo per tornare ad essere interlocutore solido e protagonista ineludibile della scena globale
Traccheggiare, litigare, rinviare è esercizio di puro autolesionismo che sfocia nell'irrilevanza. E si vede.

Sembra incredibile: il 20 gennaio prossimo Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca con la sua rivoluzione per «Fare l'America di nuovo grande», un'equipe di Governo agguerrita, un secondo colossale new deal, una nuova politica commerciale decisamente più protezionistica, una svolta nei rapporti con Russia e Cina. E forse anche con la Nato.

Eppure ieri, 15 dicembre, l'Europa riunita a Bruxelles ha continuato inconcludente il suo business as usual, come se fosse totalmente immune dalle ricadute del radicalismo americano che va a incominciare. Come se i minacciati dazi Usa del 45% sui prodotti importati dall'Asia non avessero, se ci saranno, l'effetto quasi automatico di dirottare quelle merci sul mercato europeo. O il rialzo dei tassi della Fed non producesse prima o poi effetti domino in casa propria.

Come se la nuova America non l'avesse richiamata alle sue responsabilità sul fronte della sicurezza e della difesa con inusuali toni imperativi che, se ignorati, questa volta potrebbero mettere a rischio il legame transatlantico dentro e fuori dalla Nato. Come se un'intesa cordiale Trump-Putin, se ci sarà, non rischiasse di sorprenderla inerme e disarmata: senza una politica di eurodifesa. E senza una politica energetica sufficientemente diversificata, ora che i paesi Opec e non, di fatto i russi e i sauditi, hanno deciso di provare a governare insieme il mercato del petrolio per rianimarlo.

E ancora. Come se la Turchia autocratica di Erdogan fosse una garanzia e non un partner che minaccia, al primo sgarro, di riaprire i rubinetti dei flussi migratori verso l'Unione.

Intendiamoci ieri il vertice, come sempre, ha annunciato qualche piccolo passo: 610 milioni di aiuti al Niger per bloccare in Africa i migranti ma niente sulla riforma della politica di asilo. Il via libera al piano per porre le basi, anche industriali, di una difesa comune, ferma restando la cooperazione con la Nato. Il rinnovo delle sanzioni contro Mosca per l'Ucraina ma nessuna misura punitiva contro nessuno per i massacri di Aleppo.

Se continua così, svuotando il serbatoio della sua storia al punto da cancellare persino l'innocuo rito della foto di famiglia, difficilmente l'Europa potrà andare lontano o ritrovare il consenso dei suoi cittadini. C'è solo da sperare che, finita la febbre elettorale, ritrovi in un modo o nell'altro sé stessa.

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