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Il gioco dell'Opa

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Italia

Il gioco dell'Opa

Il gioco dell'Opa nella partita Mediaset. Venerdì il ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, era a Roma per il consiglio di Telecom, fatto insolito perché per questioni logistiche i francesi preferiscono riunirsi a Milano.
Il motivo lo si è capito dopo. Già da giovedì “l'ambasciatore” in Italia di Vincent Bolloré aveva cercato udienza dal nuovo premier Paolo Gentiloni, incontrandosi poi l'indomani con il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Evidentemente la priorità era tastare gli umori governativi, dopo gli ammonimenti contro i metodi spicci dei francesi (e i ricordati paletti della legge Gasparri). Solo nel pomeriggio, sulla strada del ritorno, De Puyfontaine ha fatto tappa a Cologno per constatare, in un breve incontro formale con PierSilvio Berlusconi, che la porta resta sbarrata.

Non è una posizione irragionevolmente motivata dall'orgoglio ferito: la famiglia Berlusconi, che controlla a maggioranza relativa il gruppo di Cologno monzese, non ha alternative se non l'arrocco. La volontà di trattare dichiarata da Vivendi cozza contro le logiche e le regole della finanza. Nessun accordo – se con questo si intende la cogestione – è possibile tra chi ha in mano il 20% (Vivendi) e chi invece ha il 38,26% (Fininvest), per il semplice motivo che scatterebbe il “concerto” e con esso, dato che la somma delle due partecipazioni supera di 58%, l'obbligo congiunto di Opa totalitaria. Con il piccolo particolare che le risorse finanziarie sono impari: ben più ampie quelle dei francesi che avrebbero gioco facile a fagocitare il gruppo del Biscione, in posizione di forza e con gli altri bloccati su una partecipazione non smobilizzabile.

Un accordo, in teoria, si potrebbe ancora trovare, smontando tutte le posizioni accumulate e tornando al punto di partenza. Ma che senso avrebbe avuto per Vivendi mettere sul piatto 800 milioni per rilevare il 20% di Mediaset, se poi la soluzione è tornare al contratto di aprile su Premium - con lo scambio reciproco del 3,5%- che da luglio Parigi non vuole più onorare?
Se davvero – come dicono le voci, smentite in settimana dallo stesso Silvio Berlusconi – la famiglia non fosse del tutto compatta sul destino finale di Mediaset, a Fininvest converrebbe comunque vendere cara la pelle. Difendersi per vie legali, ottenendo il sequestro delle azioni di Vivendi o perlomeno la sterlizzazione dei diritti di voto in attesa di accertare se c'è stato l'aggiotaggio denunciato, è per ora la priorità. Un punto a favore su questo fronte cambierebbe probabilmente il corso alla partita. Se non ci si riuscisse, in ogni caso l'arrocco attivo farebbe aumentare il costo della scalata.

Salire a termine nel capitale di Mediaset, per Fininvest non pare invece praticabile, perché le partecipazioni potenziali farebbero comunque superare la soglia d'Opa all'azionista maggioritario. Un “passo falso” che evidentemente Fininvest non vuole compiere per non prestare il destro all'avversario, che troverebbe così il pretesto giusto per rilanciare con una contro-Opa. E più che il motto del “vinca il migliore”, prevarrebbe la logica del “cash is king”, che avvantaggia i francesi.

Un'Opa però ancora non c'è e Mediaset non è dunque soggetta alla passivity rule. Ma se per difendersi progettasse operazioni sul capitale, come per esempio una fusione dalla valenza strategico-industriale, troverebbe la strada sbarrata dalla minoranza di blocco che Vivendi potrebbe facilmente esercitare nelle assemblee straordinarie - sede deputata all'approvazione di queste operazioni, con la maggioranza dei due terzi - tenuto conto che nulla vieta al gruppo presieduto da Vincent Bolloré di salire fino al 29,9% senza dover lanciare alcuna offerta.
Se comunque l'argine dovesse cedere e i francesi espugnassero la cittadella di Cologno, il rischio sarebbe quello di perdere alla “causa dell'italianità”, non una bensì due aziende di peso del Paese. Il Sic, che recepisce la legge Gasparri, imporrebbe a Vivendi la scelta tra Mediaset e Telecom. Ma nei piani di Bollorè c'è già il progetto di un polo mediterraneo che faccia leva su contenuti e tlc. Finirebbe in un'asta tra Orange e Telefonica per chi si aggiudica, al miglior prezzo, la quota maggioritaria di Telecom (magari nemmeno tutta quella in mano oggi a Vivendi), non solo cavando le castagne dal fuoco al finanziere bretone, ma assecondandone altresì i disegni di grandeur. Intendiamoci, magari potrebbe anche avere un senso, però a guidare le scelte non sarebbe né Mediaset, né Telecom.

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