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La cultura chiave dello sviluppo

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Cultura & Società

La cultura chiave dello sviluppo

Gli Stati Generali della Cultura del Sole 24 Ore, a quasi 5 anni dal lancio del Manifesto “Niente cultura niente sviluppo” sul supplemento della Domenica, non potevano avere esordio più efficace, ieri, nell’Auditorium Parco della Musica di Roma: i bambini della JuniOrchestra Kids dell’Accademia di Santa Cecilia guidati da Simone Genuini hanno incantato la platea, prima che si aprissero i lavori di un’intensa mattinata in cui la musica e l’arte sono state protagoniste. Sotto la conduzione di Sebastiano Barisoni, e dopo il saluto di Giorgio Fossa, presidente del Gruppo 24 ore, che ha espresso al nuovo Governo l’augurio di andare avanti con le stesse energie del precedente sul fronte delle politiche culturali, si sono susseguite le sessioni in cui si è fatto il punto della situazione in Italia.

L’innovazione dell’Art Bonus voluta dal ministro Dario Franceschini, e più in generale la strada per consolidare e ottimizzare l’intervento dei privati a favore di un bene culturale, è stata il fil rouge del dibattito. Un approccio non sempre univoco, come si è visto attraverso le testimonianze degli assessori di Milano, Filippo Del Corno, e Roma, Luca Bergamo (si veda l’articolo nella pagina accanto). Gli economisti della Cultura - preceduti da Armando Massarenti, caporedattore della Domenica, che ha affermato che bisogna scommettere sulle nuove generazioni puntando sullo sviluppo delle capacità cognitive - si sono pronunciati sulle strategie innovative da attuare senza ulteriori indugi. Pier Luigi Sacco ha fatto l’esempio concreto dello «scenario post Brexit che apre molte possibilità, per esempio per una città come Milano che può diventare capofila nella produzione industriale e creativa, ma tutta l’Italia ha una grande occasione davanti a sé» o della «gamification, un settore pensato per l’intrattenimento ma che diventa importante per l’educazione». Per Severino Salvemini, professore di organizzazione aziendale alla Bocconi, oggi «le imprese che investono in cultura non sono certo le ciminiere di una volta… Abbiamo un’economia dell’intangibile che richiede necessariamente un certo tipo di investimento». Anche per questo, ragionava Guido Guerzoni, è nell’interesse di tutti una partecipazione «del “privato” alla gestione dei processi culturali, il che non vuol dire certo estromissione del “pubblico”, anzi le policy cioè le linee di indirizzo restano pubbliche».

Interessantissimo il focus dei sovrintendenti delle fondazioni teatrali (si veda l’articolo qui a fianco) che hanno portato la loro esperienza, la loro passione, le difficoltà finanziarie con cui devono misurarsi ogni giorno e anche qui è emersa la necessità – particolarmente accorato l’appello di Alexander Pereira, sovrintendente della Scala – di aprire le porte al mondo delle imprese. Le quali, nelle persone di Luisa Todini (Poste), Paolo Astaldi (Astaldi) e Tiziano Onesti (Trenitalia) hanno offerto il punto di vista di soggetti coinvolti in sponsorizzazioni e mecenatismo, non meno appassionato e – a tratti – critico: «Serve meno burocrazia. Trovo inconcepibile che Mitoraj debba metterci anni per portare una mostra a Pompei, senza riuscirci. Ci vuole una scossa per questo Paese» ha osservato Astaldi rivolgendosi a Dario Franceschini, seduto e attento in prima fila. La chiusura è toccata a lui che, sollecitato dal direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano («Che cosa impedisce alla cultura di fare un salto vero»?), ha spiegato di non credere negli scatti miracolosi, che molti passi avanti sono stati fatti, che non solo sono stati fermati i tagli ai beni culturali ma sono stati destinati molto più fondi al patrimonio.

Ha ricordato anche il fattore pedagogico/educativo dell’Art Bonus: io azienda o cittadino scelgo di restituire qualcosa al mio Paese.

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