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Ma sui brevetti Londra si sente ancora europea

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L'Analisi|Interventi

Ma sui brevetti Londra si sente ancora europea

Poche settimane fa, il governo britannico ha affermato di voler ratificare l’accordo che istituisce il Tribunale unificato dei brevetti, ovvero un sistema giudiziario aperto ai soli Stati membri dell’Unione, che, quando entrerà in vigore, consentirà all’Europa di beneficiare concretamente di un unico brevetto, valido su tutto il territorio europeo. Londra sembra intenzionata a fare sul serio, dal momento che solo pochi giorni fa ha firmato un protocollo propedeutico alla ratifica dell’accordo.

Non si dica che, ratificando l’accordo sul Tribunale unificato dei brevetti, Londra manifesti semplicemente il proprio interesse per un’Europa pragmatica capace di risolvere problemi concreti. Aderire a questo accordo implica molto di più: significa accettare i principi cardine del processo di integrazione europea, che garantiscono una sicura attuazione delle regole in esso previste.

Partecipando a questo progetto, il Regno Unito afferma di accettare il primato del diritto Ue sul diritto nazionale per tutto ciò che concerne la proprietà intellettuale e la centralità della Corte di giustizia europea nell’interpretazione di queste regole. Inoltre, Londra si sta dichiarando pronta a rispondere, anche economicamente, degli eventuali errori in cui potrebbe incappare il futuro Tribunale unificato. Se, ad esempio, un’impresa greca o un cittadino bulgaro dovessero subire un danno da una decisione illegittima del futuro Tribunale, essi dovranno essere risarciti. Il Regno Unito parteciperà pro quota a questo risarcimento, anche nel caso in cui l’illegittima decisione non sia imputabile alla sede britannica del Tribunale.

Per questo, l’annuncio di voler ratificare l’accordo è del tutto incoerente con il risultato del referendum del 23 giugno e, ancor di più, con la recente decisione – del medesimo governo – di contestare dinanzi alla Corte Suprema inglese la sentenza che lo obbliga a consultare il Parlamento prima di attivare la procedura di uscita dall’Ue. Come un Giano bifronte, da un lato il governo britannico vuole impedire al Parlamento di interferire con i risultati del referendum; dall’altro, chiede allo stesso Parlamento, in singolare contraddizione con la volontà popolare, di ratificare un accordo che vincola politicamente e finanziariamente il Regno Unito all’Ue e ai suoi Stati membri.

Chissà se nella scelta governativa di promuovere la ratifica dell’accordo, nonostante la Brexit, abbia pesato la circostanza che Londra dovrebbe ospitare una sede centrale del Tribunale unificato (con un indotto, per il solo settore legale, stimato in 200 milioni di sterline all’anno). O se la vera ragione di questo esercizio di democrazia bipolare risieda, piuttosto, nella volontà di conquistare ogni avamposto possibile prima dell’inizio formale dei negoziati di uscita dall’Ue (apertamente ritardati dal governo May) e così da indurre gli altri Stati membri a fare concessioni.

Non appena Londra avrà ratificato l’accordo, mancherà solamente Berlino per permettere al nuovo sistema di entrare in vigore. Spetterà dunque alla Germania decidere la sorte del sistema unico di tutela brevettuale. Ratificare immediatamente dopo Londra, per iniziare subito con la semplificazione e, magari, sostenere chi nel Regno Unito continua a illustrare gli svantaggi della Brexit? Oppure aspettare che si chiarisca lo status di Londra nell’Ue, per evitare di concedere al Regno Unito il vantaggio negoziale di trovarsi dentro un sistema brevettuale da cui non sarebbe facile estrometterlo?

Comunque vada, che almeno siano ben chiare le incoerenze della retorica sulla sovranità nazionale e sui vantaggi di un’Europa che si occupa solo di questioni concrete.

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