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Una risorsa strategica per il futuro del Paese

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L'Analisi|Cultura & Società

Una risorsa strategica per il futuro del Paese

Qualcosa è cambiato. Dopo qualche anno un po’ faticoso, si torna a respirare un clima di ritrovata energia, una tensione progettuale che non nasce dalla necessità di ripetere le solite, superficiali iperboli per esorcizzare le paure di un presente in cui non ci si riconosce.

Ma al contrario dalla consapevolezza che forse si è superato il punto più profondo del guado e che forse è arrivato il momento di mettere in campo temi nuovi e soprattutto di affrontarli in modo nuovo. Era questa l’aria che si respirava ieri all’Auditorium Parco della Musica di Roma nel corso della quinta edizione degli Stati Generali della Cultura. Una sala affollata, un pubblico attento. Il ministro della Cultura Dario Franceschini che ha seguito in sala l’intero svolgimento dei lavori. Sono piccoli segnali, ma eloquenti. In un momento in cui la sfida non è soltanto quella di superare una congiuntura sfavorevole, ma di trovare nuove formule di sviluppo per ridare slancio a un’economia e una società fiaccate da troppi anni di bassa crescita, sembra finalmente farsi strada la percezione che la cultura possa giocare un ruolo centrale nel disegnare gli scenari futuri del nostro Paese.

Il ministro Franceschini, intervistato da Roberto Napoletano, ha sottolineato i risultati importanti dell’Art Bonus e non ha escluso la possibilità di un’ulteriore estensione del suo dominio di applicazione. Ha ricordato la riforma in progress dei musei italiani, con altre dieci procedure di reclutamento internazionali per i nuovi direttori in fase di chiusura, e gli effetti di un’autonomia gestionale che apre nuove possibilità ma anche la necessità di sperimentazioni che richiedono tempo. Il tema del dover dare tempo per poter valutare i risultati delle nuove politiche è tornato spesso nell’argomentazione del Ministro. Vuol dire che sta prendendo forma un approccio alla politica culturale che concentra l’attenzione sulle trasformazioni strutturali piuttosto che sulla gestione del consenso quotidiano. Ci sono molte cose migliorabili e molte cose ancora da fare, ma c’è una volontà, appunto, di costruire una politica culturale. E qui il tema più pressante è quello delle industrie culturali e creative, uno dei macro-settori decisivi per il futuro del nostro Paese e nel quale, a differenza di altri, il ricambio generazionale funziona bene e ci sono moltissime energie e competenze, ma nel quale ci manca ancora una visione strategica che sostenga le imprese e i professionisti creativi del nostro Paese con la stessa efficacia e puntualità che riscontriamo in altri paesi europei, con risultati concreti e visibili. E se il ministro ricordava con soddisfazione l’approvazione del Piano Strategico del Turismo, che è una pietra miliare ed è un documento all’altezza degli standard internazionali, non si può non pensare che lo stesso dovrebbe accadere per il settore delle industrie culturali e creative. Anche perché temi come la ludificazione delle piattaforme educative del futuro prossimo e il dialogo innovativo tra patrimonio e sfera digitale sono temi chiave su cui il Paese potrebbe ritagliarsi una posizione di vantaggio competitivo. Ma bisogna muoversi in fretta.

Un altro punto di grande interesse della giornata è stato il dialogo tra Luca Bergamo e Filippo Del Corno, gli assessori alla cultura di Roma e Milano. Una nota positiva, in un momento di confronto politico esasperato, è stata non soltanto la loro consonanza di vedute su tanti temi, ma anche la stima reciproca che traspariva dalla loro conversazione. Nel discorso di Del Corno colpiva l’enfasi sulla capacitazione cognitiva dei cittadini come presupposto per uno sviluppo culturale sostenibile, con importanti implicazioni in termini di inclusione. Del resto, l’enfasi posta dall’amministrazione milanese sulle periferie come centro di una nuova politica territoriale va in questa direzione e costituisce uno dei segnali più interessanti che arrivano dalla scena italiana. Altrettanto interessante l’annuncio di Luca Bergamo sulla creazione di un sistema cittadino delle istituzioni culturali che permetta di realizzare quelle logiche di coordinamento e di potenziamento reciproco che sono indispensabili per Roma, per ritrovare uno smalto perduto rispetto alle grandi aspettative che la città aveva saputo sollevare come polo non soltanto del patrimonio storico, ma della produzione culturale contemporanea.

Lo stesso spirito di proattività si respirava nella tavola rotonda dei Sovrintendenti di alcuni dei principali enti lirico-sinfonici italiani, che hanno sottolineato quanto sia importante, ma anche possibile, coinvolgere i privati in una logica che non è soltanto quella della raccolta fondi, ma di condivisione di un lavoro di formazione estetica, sociale e civile i cui effetti non si vedono soltanto nelle sale dei teatri d’opera, ma soprattutto fuori. E il messaggio che arrivava dalla conversazione tra Severino Salvemini e Guido Guerzoni era che spingere ancora oltre questa proattività è indispensabile per inserire il sistema culturale italiano in un dinamismo forse in gran parte ancora tutto da costruire, ma ora più a portata di mano. E sarebbe bello se le grandi imprese italiane che si impegnano sulla cultura come Astaldi e Trenitalia, rappresentate da Paolo Astaldi e Tiziano Onesti, non si considerassero coinvolte soltanto come sponsor o partner, ma come soggetti interessati a condividere l’integrazione delle progettualità culturali all’interno delle loro catene del valore, e non soltanto alla fine. Ci sono esperienze sempre più ricche e diversificate che mostrano come tutto questo sia possibile e soprattutto efficace in termini di produttività, produzione di valore, innovazione.

La giornata si era aperta con le note della JuniOrchestra Kids dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretta da Simone Genuini. Ho visto tante persone attorno a me commuoversi nel vedere questi bambini, alcuni dei quali dapiccolissimi, suonare con tanto entusiasmo e tanto trasporto. Ma ricordiamoci allora che, negli anni che verranno, lo spartito su cui dovranno suonare sarà quello che gli lasceremo noi. E al momento è ancora uno spartito con troppe note gravi. Non dimentichiamocelo. Questo Paese è molto più loro che nostro. O almeno così dovrebbe essere.

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