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Dietro la corsa all’oro, cresce la voglia di moneta

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L'INCHIESTA

Dietro la corsa all’oro, cresce la voglia di moneta

Scoprire che sia in corso il più grande riassetto storico di oro sovrano tra le grandi banche centrali dell'eurozona - e tra queste e i loro «agenti di custodia» (ma spesso anche di «gestione») in America e in Inghilterra - non è di poco conto in questi tempi. Il rischio di suggestioni «complottistiche» è altissimo, e in parte anche giustificato dalla litigiosità crescente tra euro-partner e dalla loro incapacità di affrontare sfide e problemi come «Stati Uniti d’Europa», così come era stato promesso agli europei in cambio dei sacrifici sopportati per l’euro.

D’altra parte, senza unione fiscale e condivisione del debito, la stabilità dell’Eurozona è appesa a un equilbrio forzato delle singole bilance commerciali, che rappresentano non a caso sia il tallone d’Achille dell’euro (amplificandone gli effetti deflattivi), sia la condanna ai sacrifici per italiani, greci, spagnoli e portoghesi. Oggi, per molti economisti (a cominciare da Paul Krugman), «l’Eurozona è un semplice regime a cambi fissi, analogo al gold-standard per funzionamento e scopi». Non a caso, quando l’Eurozona rischiò seriamente di saltare al culmine della crisi finanziaria e debitoria del 2011, lo stesso premio Nobel Robert Mundell, che fu consulente di punta della Ue alla nascita dell’euro, gelò ogni ipocrisia sulle vie d’uscita praticabili con una dichiarazione sorprendente: «Per salvare la moneta unica da prematura scomparsa - disse candidamente l’economista canadese - è inevitabile garantirne la sua convertibilità in oro».

A 100 anni di distanza dallo stop al sistema aureo, invocarne il ritorno non era più un tabù. Bisogna dunque credere che sia solo un caso se, proprio da allora, cominciò il rientro dei lingotti europei dai loro depositi oltremanica e oltreoceano? Una domanda si insinua come un tarlo: ma quando Mario Draghi affrontò i mercati con il famoso «whatever it takes», parlava solo di QE e di tassi a zero, o intendeva anche qualcosa di molto, molto più forte di un «Bazooka» ad allentamenti quantitativi? Qualunque sia la risposta, un fatto è innegabile: mentre l’Europa si sta caricando di lingotti d’oro sovrano, l’Eurozona somiglia paurosamente a un sistema a cambi fissi, con un solo istituto di emissione per 19 dei 28 paesi membri dell’Ue, e con crescenti attivi della bilancia commerciale. E si può forse negare che importando capitali si ottiene lo stesso risultato dell’afflusso d’oro del gold standard? Basterebbe una legge che sancisse la convertibilità in oro della moneta unica per riaprire una partita chiusa (o solo interrotta?) dai tempi della Grande Guerra. L’Olanda, infatti, ci ha provato da sola un mese fa: senza lo stop di Draghi, Amsterdam è stata seriamente a un passo dal creare una nuova moneta circolante coniata in oro puro, e con un valore legale identico a quello dell’euro.

Qui sotto potete leggere uno stralcio di una lettera, firmata di suo pugno dal presidente della Bce, da cui emerge uno scontro senza precedenti nell’Eurozona, un caso che trasforma le criticità della Grecia, della Spagna o dell’Italia in minuzie rispetto ai veri problemi che minacciano la credibilità europea.

La lettera con cui Mario Draghi blocca il tentativo dell'Olanda di dare lo stesso valore legale
dell'euro alla moneta in oro purissimo

Nella lettera (qui il testo integrale), recapitata il 5 dicembre scorso al ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, Draghi contesta apertamente al governo di aver “giocato” troppo con le parole e la semantica nella bozza di riforma dei rapporti tra Stato e Banca centrale d’Olanda, equiparando di fatto legalmente e giuridicamente le monete in oro da collezione o investimento emesse (e da emettere) nel Regno d’Olanda (o meglio Regno dei Paesi Bassi). In sintesi, ecco il punto: Draghi, anche con parole forti, ricorda a Dijsselbloem che l’Olanda non è stato sovrano e che solo l’euro ha valore legale in Europa (legal tender) e quindi il privilegio della libera circolazione. Nella riforma, con cui (guarda caso) il Governo trasferisce proprio alla «Nederlandsche Bank NV» (depositaria dell’oro sovrano rimpatriato e non) non solo il compito di produrre l’intera serie di monete dell’eurosistema riconosciuto finora soltanto alla zecca di Stato, ma soprattutto il potere di conio delle monete in oro nazionali (celebrative e da investimento) e in particolare di due nuove emissioni che già da tempo avevano destato sospetti e irritazione tra i tecnici e i vertici di Francoforte. È bene tenere presente che le monete d’oro possono essere coniate dai Paesi-membri, ma non hanno valore legale, convertibilità o equiparazione di valore con l’euro e non possono essere vendute al di fuori dei confini nazionali. Bene, ecco cosa ha fatto l’Olanda: rimpiazzando nel decreto la frase standard «conio e vendita delle monete d’oro» – l’unica utilizzabile in materia secondo trattati e regolamenti – con «emissione e circolazione delle monete d’oro coniate dalla Banca centrale d’Olanda», il Governo olandese, con un solo colpo normativo, avrebbe bypassato i paletti della Bce sulla sovranità monetaria, i limiti europei alla circolazione delle monete auree nazionali, e riconquistato agli occhi dell’opinione pubblica quell’indipendenza che evidentemente è tornata a mancare a molti. «La Bce dà per scontato che si tratti solo di una svista – scrive sostanzialmente Draghi nella lettera – e che l’Olanda sappia bene quali siano i limiti da rispettare sulle emissioni di monete e sulla terminologia a cui si devono attenere tutti i Paesi membri. Sollecitiamo quindi il governo a modificare immediatamente i termini inappropriati e fuorvianti utilizzati nella bozza di riforma sul conio di monete d’oro». Ma questo è niente.

Nelle «Osservazioni specifiche» inserite nel capitolo 3.1.1 della lettera all’Olanda Draghi rivela qualcosa davvero sorprendente: «La nostra impressione – scrive – è che l’uso di termini errati e inappropriati sul conio delle monete d’oro da investimento sia conseguenza diretta di un emendamento al Dutch Coin Act del 2015 con cui il Parlamento olandese ha autorizzato il governo ad emettere nuove monete d’oro STANDARDIZZATO da offrire ai cittadini olandesi nel caso in cui sentissero esigenza, urgenza o bisogno convertire in monete di metallo prezioso tutti i loro risparmi in euro». Bene, poiché il Governo olandese ha appena coniato due nuove serie di monete d’oro da investimento con un contenuto d’oro al 99,8% – esattamente lo stesso dei lingotti sovrani, che fa da garanzia alle valute e soprattutto da riferimento dei cambi nel gold standard – Draghi lancia qui l’affondo finale: «Per il bene della coerenza e della certezza legale e del diritto – è scritto a piè di lettera – sarebbe molto opportuno modificare subito anche la terminologia errata sul diritto di circolazione di queste due serie allineandola a quella prescritta dalle leggi europee».

A pensare male si commette peccato, ma così come è difficile credere alla «svista» degli olandesi, non è facile affatto liquidare una lettera di questo tipo come esempio di «normale dialettica» tra governi e Bce. Altre così, non se ne trovano. Ma ciò che colpisce di più, è soprattutto quel riferimento di Draghi al «valore standard» del cambio euro-monete d’oro puro a cui sembrano puntare gli olandesi: ricorda molto del Gold Standard... Comunque sia, la lettera di Draghi non è piaciuta affatto né al ministro delle Finanze, né al premier e neppure alla Regina d’Olanda. Pochi giorni fa, davanti al Parlamento, un Dijsselbloem descritto dai giornali con «il volto rosso di rabbia» ha restituito il colpo basso a Draghi:  «Gli acquisti straordinari di bond sovrani decisi dalla Bce – ha proclamato il ministro tra gli applausi – stanno danneggiando la nostra Banca centrale e il suo equilibrio finanziario: il differenziale tra i tassi di interesse al momento dell’acquisto dei titoli di Stato e quelli attuali è già ampio e secondo le nostre stime sarà ancora più quando terminerà il programma.

Per questo, la Banca centrale d’Olanda ha deciso di mettere a riserva 3,8 miliardi di euro in previsione di perdite future: 500 milioni saranno accantonati già quest’anno per «sostenere in bilancio strumenti di debito a lungo termine e a basso rendimento, mentre sarà obbligata a pagare alle banche un tasso più tasso più elevato per i loro depositi». Anche qui, sorge spontanea una domanda: ma se un Paese forte come l’Olanda, i cui tassi di interesse e lo spread sono stati (e restano) storicamente vicini a quelli tedeschi (0,24% il decennale tedesco, 0,38% quello olandese alla chiusura di ieri) sembra quasi voler chiedere i danni alla Ue alla Bce per i 4 miliardi che prevede di perdere sui differenziali acquisto/vendita dei propri bond sovrani, che cosa accadrà all’Italia o alla Spagna quando arriverà da Francoforte l’ordine di vendere? La partita si chiude nel dicembre 2017, ha stabilito il board della Bce nell’ultima riunione di dicembre: da quel momento, le banche centrali nazionali dovranno cominciare a rivendere sul mercato i bond sovrani acquistati nei rispettivi Paesi e tenuti in bilancio per oltre due anni al valore di libro, cioè senza perdite.

Solo in quel momento si faranno davvero i conti con la realtà. Ma è già chiaro che se l’Europa non cambia passo sul rigore, se non accetta che i problemi vengano condivisi invece che isolati o circoscritti nei confini dei Paesi più deboli, innalzare gli scudi sull’euro, imporre regole ferree alle banche o sacrifici alla gente, servirà a ben poco: quando il denaro vale zero, l’oro diventa uno scudo più resistente e affidabile di qualunque moneta. Basta guardare all’Olanda, alla Germania, al Belgio, all’Austria e persino alla Cina e alla Russia, che già da anni stanno accumulando oro e rimpatriando lingotti. Ma soprattutto, serve chiarezza da parte della leadership europea: l’oro è un rifugio sicuro per tutti, ma solo se non diventa fuoco amico o uno «standard» per altre munizioni.

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