La lunga crisi economica e finanziaria globale partita nel 2007, che in Italia ha determinato il più rilevante crollo del Pil e della produzione industriale dal Dopoguerra, ha determinato ovunque nel mondo gravi crisi delle banche e conseguenti salvataggi pubblici. Dagli Usa alla Germania, dalla Spagna all’Irlanda fino all’Olanda, gli Stati sono intervenuti per ricapitalizzare le banche. Non c’è dunque da meravigliarsi se anche l’Italia ha deciso di seguire questa strada. Sorprende piuttosto che la nazionalizzazione non sia stata fatta prima, almeno dal 2011, senza aspettare di ritrovarsi in situazioni di emergenza come quella di Mps e anticipando le nuove regole Ue sui salvataggi bancari. Ne avrebbe tratto beneficio l’economia, con una più decisa riattivazione del credito alle imprese, e si sarebbe evitato l’effetto contagio sull’intero sistema bancario e finanziario nazionale, che negli ultimi anni è stato costretto al ruolo di «supplente» dello Stato iniettando capitali nelle banche in crisi.
Il ritorno dello Stato nel capitale delle banche italiane, a partire da Mps, va a interrompere il lungo processo di privatizzazioni che si era aperto all’inizio degli anni ’90. L’addio dello Stato al credito avvenne per una serie di motivi: ridurre il debito pubblico, allontanare il mondo del credito dal controllo politico e aumentare la redditività del sistema.
Paradossalmente, il Monte Paschi torna a controllo pubblico dopo anni di maxi-perdite prodotte dalla gestione privata. Neanche le prospettive reddituali future del nuovo Mps senza crediti in sofferenza prospettate dal cosiddetto piano JP Morgan-Mediobanca sono riuscite ad attrarre investitori.
L'intervento dello Stato, necessariamente di natura temporanea, dovrà dunque essere di natura imprenditoriale e avere come obiettivo prioritario far ritrovare a Mps un livello di redditività tale da avere appeal per gli investitori quando lo Stato cederà le quote nei prossimi anni. Il Montepaschi «statale» dovrà procedere con decisione con il piano di ristrutturazione già delineato, azionando le leve del taglio dei costi e della chiusura degli sportelli. È necessario che anche la governance, a partire dalla composizione del consiglio di amministrazione, sia adeguata alle sfide del mercato, dimenticando le vecchie logiche politiche di quando, negli anni '80, le nomine nelle banche pubbliche venivano fatte dal Cicr col manuale Cencelli.
Il ritorno dello Stato nel mondo del credito è benvenuto perché serve a tamponare alcuni casi di emergenza e ad alleviare dal compito dei salvataggi il resto del sistema delle banche sane. Ma è necessario che lo Stato si comporti con logica imprenditoriale.
© Riproduzione riservata