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Serve un approccio «all’americana» per le banche in crisi

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Lettere

Serve un approccio «all’americana» per le banche in crisi

«So bene quanto oggi sia impopolare aiutare le banche, specialmente quando ciascuno di noi soffre anche a causa delle loro cattive decisioni. Ve lo prometto ne terrò conto. È mia intenzione responsabilizzare le banche per l’aiuto che ricevono, dimostrare che i soldi dei contribuenti siano utilizzati per il bene dei contribuenti. Stavolta i manager non utilizzeranno i soldi pubblici per pagarsi gli stipendi, comprarsi drappeggi da favola, sparire sul loro jet privato. Quei giorni sono finiti». Così l’allora presidente Usa Barack Obama chiese al Congresso uno degli interventi pubblici più ingenti di sempre a difesa delle banche, sull’orlo del crack anche per incapacità e malafede dei loro amministratori. Ne seguirono il licenziamento, in alcuni casi l’arresto dei manager ritenuti responsabili e di lì a poco fu varata una legge di regolazione del sistema finanziario. Fu dato un segnale chiaro e univoco che le cose stavano cambiando ed è questo che manca nel discorso del ministro Padoan alla Camera, presentando l’indebitamento straordinario di 20 miliardi in soccorso di Mps e consimili. Tanti riferimenti alla crisi dei mercati, alla congiuntura sfavorevole, neppure un accenno alle inchieste della magistratura sul cattivo operato dei manager bancari. Per questo, quando il premier Gentiloni parla di un sistema del credito che esce rafforzato dall’aiuto pubblico, è difficile credergli.

Lettera firmata

Barack Obama iniziò il suo mandato presidenziale nel 2008, un anno dopo lo scoppio della crisi dei crediti subprime che scatenò una tempesta mondiale. Nel novembre 2008 il Financial Times lanciò la notizia che il Governo Berlusconi stava preparando un intervento di 30 miliardi nel capitale delle banche per aiutarle a continuare fare prestiti in vista di un peggioramento della crisi. Fioccarono allora smentite seccate, da parte del Governo e del sistema bancario. L’intervento è solo precauzionale, si disse, e per importi (eventualmente) molto limitati. Nacquero i “Tremonti bond”, ai quali fece ricorso Mps che rimborsò poi il prestito. Altrove (Usa, Regno Unito, Irlanda, Olanda, Spagna, Germania) si giocò invece la carta dei salvataggi di Stato in grande stile, cosa che oggi – come è noto - è vietata. Questo per dire che certi problemi vengono da molto lontano (compresa la pessima gestione dei manager bancari) e che sono rimasti irrisolti per troppo tempo. Oggi servirebbe almeno una grande operazione verità. E l’impegno che si cambierà strada, subito e senza sconti. Un discorso “all’americana” da far risuonare chiaro, otto anni dopo, anche nel Parlamento italiano.

Si è diffusa nei giorni scorsi la notizia di un’esplosione in realtà mai avvenuta a Bangkok. È l’ennesimo caso di «bufala». Ormai dal web, questo viene, e senza una presa di coscienza dei vari social, potrebbe accadere che da una bufala scoppino casi diplomatici. Ad esempio, il ministro tedesco della Giustizia, Heiko Mass, ha minacciato una stretta penale per chi diffama o diffonde notizie false sul social in blu. Perché l’Italia non prende posizione?

Lettera firmata

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