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Europa svegliati, il tempo è scaduto

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SCENARI 2017 / GEOPOLITICA E POPULISMI

Europa svegliati, il tempo è scaduto

Agf
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Il 2015 per l’Europa è stato l’anno del disastro sfiorato: il default della Grecia, Grexit e l’implosione dell’euro. L’invasione incontrollata di profughi e migranti. Pericoli scampati ma tutte crisi sedate ma non risolte. Quest’anno tensioni in apparenza meno drammatiche ma di fatto ancora più devastanti: si è realizzato l’incredibile, anzi l’impossibile con la sfida alle convinzioni prevalenti e al politically correct che ovunque ha sbaragliato esperti e sondaggi.

Brexit in giugno ha abbattuto un pilastro dell’ordine del dopoguerra che si credeva incrollabile, ha amputato l’Europa con un fendente che alla lunga potrebbe atterrarla o guarirla dal suo stato di ostinato sonnambulismo. Voto di rottura, quello inglese, in atteso dai suoi stessi autori, non del tutto consapevole delle conseguenze pratiche, voto di pancia, di nostalgia del passato e scontento del presente, un inno inconfessato all’identità nazionale vilipesa e annegata nell’Unione europea. O almeno così si dice.

Ex-post è stato il segnale premonitore dell’elezione in novembre di Donald Trump negli Stati Uniti: spallata ben più violenta all’ordine mondiale, terremoto politico, diplomatico, economico e commerciale che, con una nuova deflagrazione democratica che però vale almeno 10 Brexit, esprime le frustrazioni condivise di quasi tutte le società occidentali.

Dunque anno iconoclasta e rivoluzionario il 2016, i popoli contro élites, poteri, assetti costituiti e strutture di intermediazione. La democrazia rappresentativa soppiantata dalla politica dei tweets e social media.

Stressata da movimenti populisti, anti-europei e anti-sistema, travolta da referendum e risultati-shock nella nuova era della realtà post-fattuale, dei dibattiti trans-verità dove vincono gli apprendisti stregoni, non conta se quello che dicono è vero, basta che piaccia può galleggiare nel vuoto: l’importante è crederci.L’era Trump promette, se non di travolgere, di rivedere molti punti fermi e sicurezze del dopoguerra dentro e fuori dagli Stati Uniti. Ma coglie un vecchio continente debole, in piena crisi del processo di europeizzazione, che incrocia quella delle sue democrazie, la rivolta della gente contro le ricadute negative delle globalizzazioni, contro l’età delle incertezze che distrugge le classi medie e scava divari tra ricchi e poveri, contro le politiche europee che non li attenua ma li aggrava.

L’idiosincrasia nei confronti dell’Europa in Europa è diventata un malanno esistenziale, il giogo che un numero crescente di cittadini, da Nord a Sud, da Est a Ovest e per le ragioni più disparate, vorrebbe scrollarsi di dosso ritirandosi dentro la protezione illusoria delle frontiere nazionali. Il grado di interdipendenza accumulato in 60 anni di integrazione nonché i larghi benefici che ha distribuito rendono però l’impresa irrealistica oltre che iper-complessa, a meno di essere disposti a pagarne costi proibitivi, di fatto incalcolabili. Il precedente di Brexit potrebbe fornire l’arma della dissuasione per antonomasia: pur essendo un’isola, con un passato, una cultura e un’economia che le procurano in teoria maggiori margini di manovra rispetto agli altri paesi Ue, a sei mesi dal gran rifiuto la Gran Bretagna ancora non ha deciso come e fin dove negoziare il divorzio, con quali obiettivi e a che prezzo. La contabilità della separazione appare scoraggiante tanto che c’è chi sogna di tornare indietro.

Niente comunque per ora pare fiaccare l’esercito dei demagoghi, la forza di persuasione dei professionisti della sovversione che pescano in tutte le delusioni e ansie delle società finora minimizzate dall’establishment al potere, specialmente quello di sinistra che da tempo ha rinunciato alla propria identità per governare quasi sempre da destra. Così, anche i risultati delle prossime elezioni potrebbero tornare a sorprendere. L’attentato di Berlino a fine anno potrebbe dovunque rafforzare le spinte anti-governi. Tutto lasciava credere che l’Austria il 4 dicembre avrebbe consegnato la presidenza della Repubblica al candidato dell’estrema destra:una premiére di questo dopoguerra. Invece no, sondaggi smentiti, l’investitura è andata a un verde. Ma l’Fpo, il partito nazionalista e anti-immigrati, resta il numero 1 nel paese e potrebbe vincere le legislative del 2018.

Lo stesso giorno anche l’Italia strapazzava le previsioni ma in senso opposto: il referendum sulla riforma costituzionale è diventato un massiccio plebiscito contro il Governo Renzi. Un assaggio degli umori della gente nell’anno in cui la crisi della Grecia si protrae, la ristrutturazione del suo debito latita, con l’Fmi che non cessa di pretenderla e la Germania che frena: più per elettoralismo che per rigorismo in questo caso. Intanto la ripresa economica che arranca approfondisce i divari e incomprensioni tra gli europei. La questione migratoria fa il resto. Chiusa la rotta balcanica, la firma in marzo del patto leonino tra l’Ue e la Turchia di Erdogan ha stoppato gli arrivi dall’Egeo e risolto l’emergenza nel Nordeuropa, scaricandola sull’Italia e il Mediterraneo centrale. La Turchia intanto sta diventando un’autocrazia islamica, un’immensa galera per gli oppositori veri o presunti del presidente, dove si negano valori e diritti fondamentali europei. L’Unione però fa finta di niente per non incorrere nei ricatti sultano. Con le elezioni in autunno, nemmeno la Merkel può permettersi di sfidarlo davvero. E così niente riforma del diritto di asilo, qualche accordicchio per contenere i flussi in arrivo dall’Africa. Ma l’anno prossimo il problema condizionerà pesantemente le urne in Olanda, in Francia e in Germania. E forse anche in Italia. Probabilmente Angela Merkel ne uscirà indebolita ma salverà la poltrona. La destabilizzazione all’Aja e a Parigi con l’avanzata dell’estrema destra e delle forze xenofobe si annuncia più pesante ma non necessariamente vincente in questa tornata.

Un anno elettorale significa rinvio dei problemi e crisi incancrenite, proprio quando il terrorismo resta una minaccia incalzante, le guerre alle frontiere dall'Ucraina al Medio Oriente all’Africa una spina nel fianco, le pressioni della Russia di Putin onnipresenti, la svolta dell’America di Trump una sfida epocale dalle inevitabili ricadute europee con più oneri per la difesa e meno aperture per il libero commercio. L’Europa non può continuare a temporeggiare di fronte a se stessa e al mondo che cambia, pena l’irrilevanza. Può suonare incredibile, eppure per ora il suo rilevante interesse non riesce ad andare oltre il proprio calendario elettorale.

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