Prosegue l’effetto congiunto della decontribuzione sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato e del Jobs act, anche se l’impatto positivo sul mercato del lavoro sta progressivamente attenuandosi. L’Istat ha rilevato 201mila occupati in più a novembre, rispetto allo stesso mese del 2015; questo risultato è dovuto per la gran parte all’occupazione permanente (+135mila). Ma guardando all’andamento mensile, tra ottobre e novembre gli occupati permanenti crescono di sole 12mila unità. Inoltre l’unica fascia d’età in crescita - sia nel confronto tendenziale che in quello congiunturale - è quella da 50 anni in su, conseguenza dell’allungamento dell’età per la pensione. L’altra crescita importante riguarda l’occupazione femminile, che a novembre raggiunge il 48,3% (rispetto al 47,4% di un anno prima e al 48,1% di ottobre) e pur continuando a recuperare terreno, resta su livelli ancora molto bassi rispetto alle altre nazioni europee. Il confronto con il 66,3% degli uomini occupati, evidenzia il permanere di un forte divario di genere, una delle debolezze che continuano a caratterizzare il nostro Paese.
Preoccupa l’incremento dei disoccupati nella fascia 15-24anni - sia su base mensile che annuale - anche se, considerando che nel frattempo si assiste al calo degli inattivi, si tratta di un travaso: molti giovani, in precedenza esclusi dalle forze di lavoro (inattivi), si sono messi a cercare un’occupazione (senza trovarla), finendo per ingrossare le fila dei disoccupati. Ma a questo esercito di giovani ex scoraggiati, probabilmente mosso dal bisogno economico, il nostro sistema di centri per l’impiego non è in grado di dare risposte, in termini di offerta di lavoro o anche solo di orientamento. È questa la prossima sfida per il governo. La disoccupazione giovanile, dunque, continua a crescere, sia su base mensile che annua, raggiungendo il 39,4% che è uno dei record negativi in Europa. Per avere un termine di paragone, Eurostat ha rilevato che nei 28 paesi della Ue la media dei giovani disoccupati di novembre 2016 è del 18,8% (in calo rispetto al 19,5% di un anno prima), mentre nell’area euro la media è al 21,2% (rispetto al 21,8% di un anno prima). Peggio di noi fanno solo Grecia (46,1%) e la Spagna (44,4%).
In questo scenario, a fine 2016 sono esauriti gli incentivi sulle nuove assunzioni stabili (l’effetto si vedrà nella successiva rilevazione Istat), poichè il precedente Governo ha deciso di orientare i bonus sulle assunzioni al Sud e sull’alternanza scuola-lavoro per sostenere l’occupazione giovanile. Il bilancio di quasi due anni di incentivi evidenzia come, pur in un quadro di incertezza economica, gli occupati sono saliti di 437mila unità rispetto a gennaio del 2015, quando entrò in vigore la decontribuzione. Di questi 409mila sono posti stabili. Ciò dimostra come, anche in assenza di una crescita robusta, regole certe e taglio dei costi abbiano prodotto dei risultati, talvolta anche superiori all’andamento del Pil. Questa direzione di marcia non va abbandonata: a partire dall’impegno preso dal precedente esecutivo a tagliare in modo strutturale il costo del lavoro. Un impegno che le imprese attendono che sia tradotto in pratica.
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