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Davos riporta al centro la globalizzazione

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SCENARI GLOBALI

Davos riporta al centro la globalizzazione

Cosa ne sarà dei trattati della Wto sul libero scambio o dell’accordo sul clima di Parigi dopo la vittoria di Donald Trump, dopo la Brexit e dopo il no al referendum in Italia? Proprio il World Economic Forum di Davos - che ha contribuito negli anni passati a diffondere il verbo della globalizzazione ed è stato attaccato nel corso della recente campagna elettorale dai seguaci di Trump come il summit degli ideologi della delocalizzazione, dei confini aperti ai migranti e del conseguente impoverimento della classe media occidentale - deve riformulare il messaggio e cercare una mediazione tra le élite e le masse sempre più attratte dalle sirene populiste.

Non a caso nel corso dei lavori del Wef (da oggi al 20 gennaio) si parlerà di argomenti un tempo tabù quali: se la concentrazione della ricchezza avvenuta negli ultimi decenni possa mettere in pericolo il dominio del capitalismo nella versione del libero mercato. Oppure: come trovare soluzioni per far ripartire la fiducia, la crescita e i salari della classe media arrabbiata, frustrata e sempre più attratta dai populismi? A Davos la delegazione italiana sarà quest’anno capeggiata dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, un veterano di Davos. Il ministro Padoan, insieme al democratico Usa Larry Summers, il direttore dell’Fmi Christine Lagarde, mercoledì 18 parteciperà proprio a un panel sulla crisi della classe media, sulla scarsa occupazione e sui motivi che hanno portato all’insorgere del populismo tra le due sponde dell’Atlantico.

Temi che un tempo non avrebbero avuto l’onore né l’attenzione dei 3mila partecipanti in rappresentanza del gotha imprenditoriale, finanziario e politico del pianeta e che quest’anno invece faranno il pienone. Ovviamente non mancheranno gli argomenti tradizionali sul futuro del sistema finanziario (quale modello di banca sarà più resiliente all’incertezza?) e l’avvento della quarta rivoluzione industriale, la diffusione dei robot, ma con sensibilità maggiore che in passato agli aspetti occupazionali.

Anche dal punto di vista geopolitico, il 47° Wef di Davos sarà importante. È vero, non ci sarà il primo incontro ufficiale tra la Cina, campione della globalizzazione, e la nuova amministrazione americana, portabandiera del ritorno al protezionismo e all’isolazionismo, ma molto si parlerà di scenari globali. Per ribadire la posizione di Pechino il presidente cinese Xi Jinping ha deciso di partecipare al summit annuale. È la prima volta che un presidente cinese va a Davos dove aprirà i lavori della sessione inaugurale, la più importante. La visita avviene nel momento in cui Pechino intende sottolineare il suo ruolo e la sua posizione nello scenario internazionale, tanto più che si profilano criticità nelle relazioni con l’amministrazione Usa del presidente Trump che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio, ultimo giorno del meeting tra le nevi svizzere.

Davos si trasformerà nel palco globale dei due futuri duellanti, e dalle prime schermaglie - seppur a distanza visto che Trump non manderà polemicamente nessuna delegazione Usa al Wef considerato il centro di potere contro cui ha vinto le elezioni - tra i rappresentanti di Pechino e Washington, si capirà che aria tirerà nel mondo nei prossimi quattro anni in materia di commercio, dazi, finanza e sfere di influenza militari. E gli altri? Russi ed europei saranno spettatori molto attenti ed interessati. Tra i presenti spiccano il primo ministro britannico, Theresa May alle prese con Brexit, il vice presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden con il segretario di Stato, anche lui in uscita John Kerry, il presidente ucraino Petro Poroshenko. Assente Mario Draghi.

Trump non rischia l’isolamento in Europa che quest’anno andrà al voto in Olanda, Francia e Germania. Lunga è la fila di chi è pronto a proporsi come alleato di ferro del nuovo presidente Usa, campione del ritorno allo Stato-nazione, al controllo dei suoi confini dai flussi migratori, alla fine del multilateralismo commerciale a favore del ripristino di dazi e protezionismi per difendere produzioni e manifatture locali, favorire il fenomeno recente del re-shoring, il ritorno a casa delle delocalizzazioni fatte negli anni passati in Messico e in Asia. Insomma tutti coloro che in Europa (e non sono pochi) parlano di ritorno alle nazioni, di muri da costruire, organismi multilaterali commerciali da mettere in soffitta come la World Trade organization ( Wto), insieme alla odiata globalizzazione finanziaria.

Xi, invece, paradossi della storia, farà il paladino del libero scambio, mentre l’amministrazione americana sosterrà il protezionismo. Trump diverrà presidente a Washington proprio l’ultimo giorno della riunione di Davos. La domanda finale è la seguente: la globalizzazione sarà dunque salvata dai cinesi?

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