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Xi Jinping debutta sulla scena mondiale

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DOPO IL G-20 DI HANGZHOU

Xi Jinping debutta sulla scena mondiale

Il tempo gioca a favore del presidente cinese Xi Jinping: a tre giorni dall’atteso insediamento ufficiale del presidente eletto Donald Trump, il podio del World Economic Forum di Davos, da martedì prossimo, sarà tutto suo. In Svizzera non ci sarà nemmeno una delegazione americana, ha fatto sapere la squadra di transizione del prossimo inquilino della Casa Bianca. Via libera, dunque.

Xi intende usare il suo debutto nel più famoso forum non governamentale per illustrare al mondo la sua idea di governance, le prove generali le ha già fatte al G-20 di Hangzhou, lo scorso mese di settembre, ed era la prima volta in cui la Cina organizzava il summit delle superpotenze.

Le mosse su Davos 2017 sono partite molto tempo fa. «Stiamo lavorando accuratamente a questo evento dallo scorso mese di maggio», dice al Sole 24 Ore Chen Fengying, l’economista che ha guidato con fermezza l’Istitute of World economy del China Institutes of Contemporary International Relations (Cicir).

E, quasi a smorzare l’effetto casualità, aggiunge: «Il viaggio in Svizzera del presidente punta a spiegare il concetto di crescita armoniosa della comunità mondiale ispirato dalla Cina e dalla strategia messa a punto a partire dagli ultimi quattro anni. Il suo non sarà un discorso economico, ma politico - assicura madame Chen Fengyin -. La tappa Svizzera non è casuale perché qui, da tre anni, nel cuore dell’Europa, Cina e Svizzera hanno creato un modello di collaborazione grazie a un free trade agreement e a un accordo sullo swap dello yuan considerati un punto di riferimento globale».

Davos è strumento di dialogo entrato dieci anni fa saldamente anche nel contesto cinese grazie all’attivismo del fondatore Klaus Schwab – si chiama Summer Davos e si svolge, ad anni alterni, a Tianjin e Dalian.

Finora ha brillato la stella del premier Li Keqiang, una presenza assidua, la sua, ma adesso è l’ora del grande balzo cinese e, quindi, l’arena svizzera è tutta per Xi. Che spiegherà anche i risultati, indubbiamente interessanti, ottenuti dalla collaborazione sul versante dei Paesi dell’Eurasia, la One belt one road strategy, accompagnandolo con la sigla di nuovi accordi da parte dell’Aiib e del Silk Fund. La delegazione cinese, non a caso, sarà molto nutrita, inclusi tycoons del calibro di Jack ma e Wang Jianglin.

Sarà il caso di sapere cosa può aspettarsi il mondo dalla proposta cinese, ma anche dalle prospettive interne della Cina.

Nei giorni scorsi è partito in avanscoperta Xu Shiaoshi, leader della Ndrc, il braccio armato per le riforme del Partito comunista, tra i più fidati collaboratori del presidente, il quale ha assicurato un 6,7% di crescita cinese a consuntivo 2016.

Ma le incertezze domestiche restano alte. Lo stesso Xu ha definito molti investimenti cinesi all’estero scoordinati e inefficaci, auspicando un ulteriore aumento della componente privata.

Crescita, ristrutturazione di intere aree del Paese, nuovi strumenti di investimento, fuga di capitali, debito crescente, persistente bolla immobiliare, restano i nodi di Pechino.

Chen Fengying ha l’onestà intellettuale di evidenziarne due: il debito crescente e la fuga dei capitali. Non succede spesso, tra gli esperti vicini all’establishment.

Né i consumatori cinesi né l’e-commerce, intanto, sembrano in grado di incentivare la crescita. Sul fronte commercio, i dati appena diffusi dalle dogane cinesi dimostrano che nel 2016 le esportazioni su base annua sono calate dello 0,9 e che il surplus della bilancia commerciale si è ulteriormente assottigliato, l’area in cui l’import-export ha guadagnato qualcosa è proprio quella della One belt One road, ma servirà a controbilanciare tutto il resto?

Su questo versante pesa la spada di Damocle del ritorno al protezionismo ventilato da Donald Tump che punta a riportare i lavori a casa, in America, e sicuramente non basterà a incentivare nuovi investimenti stranieri in Cina il fatto che è alle battute finali un taglio delle attività vietate agli stranieri, alla fine quelle off limits saranno circa una sessantina.

Il 2017 si profila, dunque, come una ritirata generale della marea della globalizzazione.

«Alle multinazionali in Cina verrà il mal di testa», dice Gordon Orr, direttore emerito di McKinsey. Infatti, è già ripartita una nuova guerra delle tariffe su prodotti agricoli e sull’acciaio. E se l’acciaio cala ancora, la situazione non potrà che peggiorare.

La tentazione di ricorrere a megaprogetti – si pensi ai 36 miliardi di dollari dell’integrazione Beijing, Tianjin, Hebei – è forte. In tal caso, però, piuttosto che raddoppiare il Pil da qui al 2020 e anche le entrate domestiche, come da 13° Piano quinquennale, il rischio è quello di portare il debito al 300% del Pil.

Ben 100 miliardi di dollari, inoltre, sono spariti dalla Cina nelle maniere più variopinte e, soprattutto, nonostante le misure adottate da Mofcom e Ndrc. Anche quest’anno la corsa a cambiare yuan nella quota individuale dei 50mila dollari è già scattata, infatti.

Da questo punto di vista la Cina è ben “piazzata” nella globalizzazione. Ma il rischio è l’assottigliarsi delle leggendarie riserve cinesi in valuta estera, la soglia dei 3mila trilioni è considerata cruciale ed è sempre più vicina la possibilità di oltrepassarla.

Xi Jinping ha i suoi grattacapi, dunque, per questo il fronte interno resta fondamentale, in primis la necessità di completare il rinnovo dei vertici dello Stato al Congresso del partito entro la fine del 2017 nella maniera più tranquilla possibile. In tal senso, Davos è un tassello di un progetto molto, molto più complesso.

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