Una mano tesa al mercato, dopo la scelta draconiana di un’entrata in vigore senza neppure un giorno di transizione che, poco meno di un anno fa, ha gettato nel panico stazioni appaltanti e imprese, decretando di fatto il congelamento di un intero settore. Si può leggere anche così il decreto correttivo della riforma degli appalti che il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio porterà domani per una prima informativa in Consiglio dei ministri. Emblematico del cambio di rotta, nel segno della flessibilità, è anche il percorso che si seguirà per l’approvazione. Il Governo avvierà l’esame su un testo "aperto" che subito dopo sarà messo in consultazione tra gli operatori. Al temine di questa fase di "dibattito pubblico", già entro la prossima settimana, il Governo formalizzerà, con un primo via libera, il provvedimento da inviare per i pareri di Consiglio di Stato, Commissioni parlamentari e Conferenza unificata. Soltanto al termine di quest’altra fase, che prenderà fino a 30 giorni, arriverà l’ok finale. Ci sarà da correre, visto che la delega a emanare il decreto scade il 19 aprile (un anno dopo l’entrata in vigore del codice), cioè tra poco più di due mesi.
D’altra parte c’è già stata una fase di esplorazione delle criticità emerse in questi primi mesi. Per mettere a punto il decreto i tecnici del ministero hanno tenuto conto delle audizioni svolte dal Parlamento, dei rilievi mossi dal Consiglio di Stato nei pareri sui provvedimenti attuativi già emanati, dalle richieste avanzate dall’Anticorruzione anche con specifici atti di segnalazione inviati a Governo e Parlamento. Senza dimenticare l’esame dei circa 1.900 questionari ricevuti dai funzionari delle stazioni appaltanti in risposta alla consultazione avviata a dicembre dalla cabina di regia di Palazzo chigi, incaricata di monitorare la riforma.
Dipende probabilmente da questa nuova "strategia dell’ascolto", si direbbe quasi senza filtro, anche l’assetto non propriamente minimal del provvedimento. La bozza di decreto si sviluppa in 84 articoli che distribuiscono ben 245 correzioni sui 220 articoli del nuovo codice, in vigore da soli nove mesi. Con interventi decisi anche su temi molto sensibili. La clausola sociale per gli appalti ad alta intensità di manodopera, che il Dlgs 50 ha previsto come facoltativa dopo un lungo dibattito tra Governo e Parlamento, diventa obbligatoria. Il rating di impresa, uno dei pilastri della riforma, diventa volontario. Come richiesto da Raffaele Cantone (e anticipato da questo giornale) vengono sciolti anche i profili di sovrapposizione con il rating di legalità gestito dall’Antitrust. Molti i ritocchi legati alla volontà di tenere conto della lunga stagione di crisi da cui provengono le imprese. Per dimostrare il possesso dei requisiti i costruttori potranno prendere a riferimento l’ultimo decennio di attività e non solo gli ultimi cinque anni in cui la morsa della recessione ha pesato di più sui fatturati. Passo indietro sul subappalto. Il tetto del 30% non sarà più calcolato sul valore complessivo delle opere, ma sull’importo della lavorazione prevalente in cantiere (come accadeva prima della riforma). In un’ottica di semplificazione viene eliminato anche l’obbligo per i concorrenti di indicare già con l’offerta (dunque in gara, mentre il cantiere potrebbe arrivare mesi, se non anni, dopo) i nomi di almeno di tre subappaltatori da coinvolgere nei lavori. Resta invece la norma che lascia alle stazioni appaltanti la facoltà di ammettere o vietare il subappalto. Scelta che i costruttori contestano per ragioni di organizzazione di impresa. Sul fronte della ricerca di massima imparzialità delle gare passa la modifica richiesta dall’Anac che impone alle amministrazioni di nominare almeno il presidente delle commissioni giudicatrici tra gli esperti iscritti all’albo dell’Autorità per gli appalti superiori a un milione. Per ridurre le spese di trasferta in carico alla Pa l’albo sarà organizzato su base regionale.
Novità importanti anche sul fronte della progettazione. I professionisti incassano l’obbligatorietà dell’uso dei parametri per calcolare i compensi a base di gara. Ma il pacchetto più rilevante riguarda la "sblindatura" del divieto di appalto integrato, cioè del contratto che assegna ai costruttori anche una quota di progettazione. L’appalto su progetto definitivo, invece che su esecutivo, sarà ammesso per le opere di «prevalente» contenuto tecnologico e nei casi di somma urgenza. Ok a progetto e lavori anche per le manutenzioni e per gli enti che avevano un progetto approvato alla data di entrata in vigore della riforma. In questo modo si dovrebbero sbloccare i bandi rimasti nei cassetti delle Pa spiazzate dall’assenza di un periodo transitorio (anche se nessuno sa di quanti casi si tratta). Tenta di dare una spinta al mercato anche la scelta di alzare dal 30% al 49% il tetto del contributo pubblico per le operazioni di partenariato pubblico-privato. Risponde, invece, alle richieste dei sindacati la scelta di escludere gli interventi di manutenzione e le opere eseguite in proprio dalla quota dell’80% dei lavori che le concessionari autostradali dovranno affidare con gara dal 2018. L’ultimo capitolo è quello, spinoso, delle deroghe, anche alla luce delle polemiche degli ultimi giorni. Le norme di Protezione civile si applicheranno non solo per far fronte alle calamità ma a tutti gli eventi naturali. Chi sarà chiamato in campo, poi, potrà autocertificare il possesso dei requisiti, salvo vedersi ritirare il contratto ex post, in caso di verifica negativa.
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