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Palermo, bilancio a rischio «commissariamento»

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Palermo, bilancio a rischio «commissariamento»

(Fotogramma)
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Una battaglia di numeri con le partecipate, che solleva «un rilevante fattore d’incognita per la tenuta degli equilibri di bilancio, anche futuri, dell’ente». A chi bazzica i conti degli enti locali non può apparire particolarmente nuova una storia che racconta di aziende comunali in crisi che trascinano nel gorgo i conti del Comune fino a portare alla capitolazione del dissesto. Questa volta, però, in gioco c’è il futuro di un capoluogo di Regione. Si tratta di Palermo, 674mila abitanti e un bilancio da 2,5 miliardi.

Bilancio al centro ormai da oltre un anno delle attenzioni della Corte dei conti, che ora attende una serie di misure messe nero su bianco entro il 10 marzo, fra un mese. Il rischio, se le risposte in arrivo da Palazzo delle Aquile non convinceranno i magistrati dei conti, è quello di una sorta di commissariamento dei conti con il blocco automatico dei programmi di spesa giudicati senza copertura. Un rischio, ovviamente, che dal Comune tentano in tutti i modi di ricacciare con un lungo lavoro che anche secondo i magistrati ha prodotto risultati: che però, qui sta il problema, per ora non bastano.

Per riannodare i fili della vicenda si può partire dalla battaglia di carte bollate con la Gesip, la società multiservizi che è arrivata al fallimento nell’agosto del 2015 dopo una lunga storia di traversie, mancati stipendi e scioperi che si trascinava da anni. La bandiera bianca fatta alzare dal tribunale ha chiuso «una pagina triste», come spiegava in quei giorni lo stesso sindaco di Palermo Leoluca Orlando, ma non ha archiviato il capitolo dei problemi finanziari che si ribaltano sul Comune. Nella ricostruzione di crediti e debiti della gestione fallimentare, il curatore ha presentato al sindaco un conto da 86,4 milioni di euro, che il Comune ha respinto al mittente. Ma se il giudice darà ragione al curatore, arriverà una bordata tale da mettere a rischio la tenuta del bilancio secondo la Corte dei conti.

Certo, 86 milioni di euro non sono spiccioli, ma come fanno a rendere insonni le notti di un gigante come il capoluogo siciliano? Ci riescono, ovviamente, perché non sono da soli.

La partita con la Gesip è solo la più grossa in un panorama di contenziosi che riguarda anche Amia, la società dei rifiuti fallita nel 2013, e molte altre sigle nella galassia della “holding Palermo”. Una holding, a quanto dicono gli stessi revisori dei conti, di cui il Comune non ha di fatto il controllo, al punto che i magistrati contabili aspettano ancora le relazioni semestrali degli ultimi due anni. A bloccarle è stata la mancata firma dei revisori che, hanno spiegato i diretti interessati, non l’hanno messa a causa delle «gravi carenze documentali» che non hanno permesso di certificare la situazione.

In un quadro come questo, la carta degli atti ufficiali continua a raccontare vicende diverse dalla realtà. L’11 settembre del 2013, per esempio, una delibera del consiglio comunale ha imposto a tutte le partecipate di bloccare assunzioni e promozioni del personale e di adeguare la propria contabilità ai sistemi di controllo mentre la Sispi, un’altra delle società del Comune, avrebbe dovuto costruire una piattaforma informatica per raccogliere tutte le informazioni economico-finanziarie delle partecipate. Ma, hanno spiegato i revisori alla Corte, queste misure sono rimaste teoriche. E tra delibere approvate e inattuate e «società in stato di liquidazione che risultano ancora in attività», come sottolineano i magistrati, il quadro fatica a migliorare.

Tutti questi problemi, e qui si chiude il cerchio, poggiano sulle spalle di un bilancio già sfinito dagli storici problemi di gestione palermitani. Il primo, che il capoluogo siciliano ha in Comune con tante amministrazioni del Mezzogiorno, è l’incapacità di raccogliere davvero una quota almeno sufficiente delle tasse locali che dovrebbero finire nelle sue casse. Il 57% delle multe stradali non si trasformano in pagamenti, e il recupero dell’evasione tributaria, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, non va oltre un asfittico 17,39 per cento. Di qui la mole delle entrate teoriche («residui attivi», nel linguaggio dei tecnici) che la riforma della contabilità ha imposto a tutti i Comuni di cancellare quando non hanno una prospettiva solida di incasso. A Palermo, la ripulitura dei bilanci ha creato un deficit da 396 milioni di euro: da recuperare in 30 anni.

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