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Dossier Un’onda che può portare a nuovi «terremoti» sociali

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Dossier | N. 40 articoliI rapporti della Fondazione Hume

Un’onda che può portare a nuovi «terremoti» sociali

Fino a una decina di anni fa, ovvero fino allo scoppio della lunga crisi in cui ancor oggi siamo impigliati, la società italiana poteva, con qualche approssimazione, essere descritta mediante lo schema delle “due società”, una felice espressione dovuta ad Alberto Asor Rosa (che la coniò nel lontano 1977). Da una parte il vasto mondo dei garantiti, fatto di dipendenti pubblici e di dipendenti privati protetti da Statuto dei lavoratori e sindacati

D’all’altra la società del rischio, fatta di lavoratori autonomi, dipendenti delle piccole imprese, lavoratori precari delle imprese maggiori. Una frattura, questa fra le due società, che gli studiosi del mercato del lavoro preferivano raccontare con il concetto di dualismo, sottolineando le enormi disparità presenti nel mercato del lavoro italiano fra lavoratori protetti e lavoratori non protetti in materia di licenziamenti, infortuni, malattia, cassa integrazione, disoccupazione.

Oggi quella frattura esiste ancora, seppur attenuata dalle norme introdotte dal Jobs Act. Accanto ad essa, tuttavia, nel decennio della crisi si è aggravata una ulteriore, ancor più profonda, frattura: quella fra le prime due società (delle garanzie e del rischio), e la Terza società, la società degli esclusi.

Chi sono i membri della Terza società? E che cosa li distingue da quelli delle prime due società?

Fondamentalmente la loro esclusione dal circuito del lavoro regolare. Della Terza società fanno parte i lavoratori in nero, i disoccupati in senso stretto (che cercano attivamente lavoro), e i disoccupati in senso lato (disponibili al lavoro, anche se non ne stanno cercando attivamente uno). Complessivamente si tratta di circa 9 milioni di persone, ovvero di un segmento della società italiana che ormai ha raggiunto una dimensione comparabile a quella degli altri due. Un segmento che, negli anni precedenti alla crisi superava di poco i 6 milioni di persone, ma negli anni fra il 2007 e il 2014 è letteralmente esploso, con un incremento del 40% in soli 7 anni.

Si potrebbe supporre che la presenza di una sacca di esclusi sia un fenomeno sostanzialmente fisiologico delle società avanzate, specie dopo la lunga crisi che ha colpito le loro economie in questi anni. Il Dossier della Fondazione Hume sulla Terza società mostra però che, in Europa, solo Grecia e Spagna hanno una quota di esclusi superiore a quella dell’Italia, mentre paesi come Germania, Regno Unito, Francia, Austria, Olanda, Belgio, Svezia, Finlandia, hanno quote prossime a metà della nostra.

Ma è soprattutto l’analisi del passato che ci aiuta a capire l’importanza della Terza società in Italia. Se, con l’aiuto dei non molti dati statistici disponibili, proviamo ad andare a ritroso nel tempo, scopriamo che la Terza società emerge e riemerge, come un fiume carsico, in diversi periodi della nostra storia. Nei settant’anni che vanno dalla fine della seconda Guerra mondiale ad oggi, la Terza società è stata in rapida espansione in almeno tre lunghi periodi: il periodo 1963-1972, quando l’apparato produttivo italiano si è ristrutturato espellendo forza lavoro debole, un processo a suo tempo descritto da Marcello De Cecco come risposta «ricardiana» alla crisi; gli anni 80 e i primi anni 90, che furono anche gli anni centrali del lungo processo di «scomparsa dell’Italia industriale», a suo tempo descritto da Luciano Gallino; e infine il decennio della lunga crisi iniziata nel 2007, in cui il peso della Terza Società è tornato a crescere a ritmi molto intensi.

In ciascuno di questi tre periodi la Terza società ha accresciuto in modo sensibile il proprio peso rispetto alle altre due, e nell’ultimo, secondo la ricostruzione della Fondazione Hume, ha toccato il suo massimo storico. Oggi, fatta 100 la popolazione attiva o potenzialmente attiva, circa il 30% appartiene alla Terza società, ovvero si trova in una condizione di esclusione.

Sarebbe un errore, tuttavia, pensare a questo segmento della società italiana solo e semplicemente in termini di povertà, emarginazione, deprivazione. Della Terza società fanno parte i disoccupati in senso stretto (che cercano attivamente un lavoro), e molti lavoratori in nero sfruttati e sottopagati. Ma in essa rientrano anche soggetti per i quali il lavoro irregolare è una scelta, o soggetti che non cercano attivamente lavoro perché possono permettersi di non lavorare, come accade per una frazione non trascurabile delle casalinghe e dei cosiddetti Neet (giovani Not in Employment, Education, or Training). La Terza società, in altre parole, è sociologicamente una realtà bifronte, fatta di ceti bassi, in condizioni di povertà assoluta o relativa, ma anche di ceti medi, che sopravvivono grazie al lavoro retribuito dei familiari e alle risorse accumulate dalle generazioni precedenti.

Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, se la Terza società abbia anche qualche tipo di rappresentanza nel sistema politico, ovvero quali siano i partiti che meglio riescono ad intercettarne il consenso. Ebbene, anche su questo punto il dossier della Fondazione David Hume fornisce qualche informazione utile, basata su un sondaggio commissionato alla società Ipsos. Considerata nel suo insieme, la Terza società si distingue dalla prima e dalla seconda per la sua preferenza per il Movimento Cinque Stelle e per la sua refrattarietà verso Pd e Forza Italia, i due architravi del sistema politico della seconda Repubblica. Se consideriamo separatamente i suoi tre segmenti, lavoratori in nero, disoccupati e scoraggiati, possiamo inoltre osservare che i lavoratori in nero prediligono anche l’estrema sinistra e Fratelli d’Italia, i disoccupati guardano con interesse alla Lega e ai piccoli partiti di centro, mentre i lavoratori scoraggiati (che hanno smesso di cercare lavoro) si orientano in modo più massiccio di qualsiasi altro gruppo sociale verso il movimento Cinque Stelle, che qui raccoglie oltre il 50% dei consensi.

Difficile dire quali conseguenze potrà avere, nell’immediato futuro, la crescita dell’esercito degli esclusi, massicciamente sovrarappresentati nelle regioni del Mezzogiorno. Possiamo osservare, tuttavia, che le due precedenti grandi onde di espansione della Terza società, quella degli anni ’60 e quella degli anni ’80, sono terminate entrambe con una crisi politica e un radicale cambio di stagione. La prima onda è sfociata nel Sessantotto, ossia nel grande ciclo di lotte che ha coinvolto studenti, operai e donne fra il 1968 e il 1976. La seconda onda è sfociata nel cambio di regime del 1992-1994, con Mani pulite e il crollo dei partiti della prima Repubblica. Resta da vedere se anche la terza onda anomala, quella che si è dispiegata nel decennio della lunga crisi, produrrà un nuovo terremoto nella società italiana.

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