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Fare emergere le responsabilità, tutelare la governabilità

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L'Analisi|Italia

Fare emergere le responsabilità, tutelare la governabilità

La trasparenza nella arruffata vicenda Consip è una esigenza fondamentale: non solo per ragioni morali, che già è un elemento importante, ma per il dovere di difendere la credibilità del sistema Italia. Sembra a volte si stia dimenticando quanto delicata sia la situazione interna e internazionale in cui ci muoviamo e quanto abbiamo bisogno di essere credibili e affidabili per non perdere il terreno che faticosamente, centimetro per centimetro abbiamo guadagnato.

Nessuno pensa all'opportunità di insabbiare scandali e problemi in nome di una machiavellica “ragion di stato”.

Al contrario proprio questa, quando è intesa in senso appropriato, spinge a mostrare come si possa venire a capo di comportamenti e di disfunzioni: tanto sul versante penale, se ci sono elementi provati, quanto ancor più sul piano politico. Vogliamo essere chiari: chi ha sbagliato sul piano dei comportamenti deve pagare in modo esemplare dal punto di vista della legge e ancor prima sul piano politico.

Non possiamo permetterci che si accrediti l’immagine di un paese che è una specie di corte di Bisanzio del XXI secolo. Non è così. Il sistema ha ancora le possibilità di reggere e di affrontare i problemi che ha davanti. Va tenuto conto che in questo contesto facciamo i conti con due temi non esattamente sovrapponibili e coincidenti: la tenuta di un sistema di governo e le dinamiche caotiche di ricambio delle classi dirigenti. Sul primo versante abbiamo il governo Gentiloni che è un esecutivo che mostra capacità di tenuta e che si sta conquistando spazi interessanti di credibilità. Ribadisco: se vengono appurate responsabilità chiare bisogna che chi è coinvolto in esse, direttamente o indirettamente, ne tragga le conseguenze. Mettere però in questione il governo, per compiacere alle pulsioni delle varie componenti che vogliono avere finalmente il rush finale in cui si vedrà (sperano loro) chi vince e chi perde è una politica letteralmente senza senso. Se venisse distrutto l’equilibrio attuale di un governo che è a mezza via fra il politico e l’istituzionale non si capisce con quali esperimenti verrebbe sostituito.

Conquistare cumuli di macerie non è un gran guadagno: i pentastellati avrebbero dovuto rendersene conto nel momento in cui si sono trovati ad avere nelle proprie mani il comune di Roma. È un qualcosa che dovrebbe far riflettere tutti coloro che spingono senza ritegno per il bagno di sangue elettorale.

Non si tratta ovviamente di firmare assegni in bianco al governo, cosa sempre inopportuna, ma di fare blocco per consentire da un lato la prosecuzione della necessaria attività di intervento attivo nella crisi (e c’è all’orizzonte da fare il Def) e dall’altro per sfruttare l’occasione per approfondire il lavoro di riforma e ristrutturazione dell’amministrazione pubblica (inclusa la questione non solo della lotta alla corruzione, ma anche quella al suk delle “influenze”) e della riduzione del debito. Sul versante delle lotte per il ricambio delle classi dirigenti è necessario richiamare tutti al dovere di dar prova di aver compreso cosa significhi essere classi dirigenti:capacità di proporre al paese leadership che siano in grado di trarlo fuori dalla crisi attuale e di mantenerlo in quel posizionamento internazionale che si era guadagnato dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Sono più di 70 anni dall’avvio di quel processo e 50 da quando l’Italia fu scelta come sede per varare la prospettiva della nuova Europa. Bisogna che la classe politica tanto nel suo complesso, quanto nei suoi singoli membri senta questa responsabilità: non si sta giocando una partita per affermare personalità o egemonie di gruppo, ci si sta confrontando con un nuovo complicato passaggio che mette a rischio il nostro ruolo come paese. Ciascuno deve accettare il peso e anche a volte l’amarezza del contesto, altrimenti di classe dirigente non è proprio il caso di parlare.

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