Nel dibattito sulla Brexit l'«errore di conferma» la fa da padrone. Se siete per il Leave, probabilmente ignorerete qualsiasi informazione che dimostra le conseguenze economiche negative di un'uscita dall'Unione Europea, o l'estrema difficoltà dei negoziati. Se siete per il Remain, continuerete a rilanciare allarmi esagerati sull'apocalisse economica. Magari sosterrete anche che l'Unione Europea non concederà alla Gran Bretagna un accordo di uscita accettabile. Lo farete perché siete arrabbiati, o perché state già pregustando il vostro momento di rivincita, quando potrete dire «Ve l'avevo detto». E ci sono tuttora alcune persone che sperano – o temono – che sia ancora possibile riavvolgere il nastro. Non è così.
Un accordo è possibile
La realtà delle grandi battaglie della Brexit è che sono relativamente noiose. Dopo che la premier britannica Theresa May avrà messo in moto la procedura di uscita, cosa che dovrebbe avvenire la settimana prossima, il Regno Unito sarà fuori dall'Unione al più tardi entro luglio 2019, forse qualche mese prima. E contrariamente agli allarmi che continuo a sentire, sono convinto che le chance di un accordo di uscita regolato dall'articolo 50 del trattato sull'Unione Europea non siano infime.
Il problema principale? I soldi
Naturalmente, non è così difficile immaginare uno scenario in cui un politico britannico abbandona stizzito i negoziati dopo una provocazione. Il problema principale saranno i soldi, come è sempre stato. Margaret Thatcher rivoleva indietro i soldi, negli anni 80, e per diversi anni l'Unione Europea fu impegnata quasi esclusivamente a negoziare questo rimborso britannico (o «sconto», come lo chiamavano giustamente in Germania). Fu un conflitto aspro come pochi altri. Ma alla fine raggiunsero un accordo. Lo raggiungono sempre.
Il braccio di ferro sul conto che dovrà pagare Londra per uscire non dovrebbe essere altrettanto complicato. Fonti non confermate parlano di circa 60 miliardi di euro, un ordine di grandezza del tutto diverso da quello dei grandi scontri del passato. Il problema in questo caso è la mancanza di basi e precedenti legali. I trattati tacciono sull'argomento, non c'è un manuale a cui far riferimento.
I problemi saranno risolvibili se entrambe le parti rispetteranno un principio semplice: la Brexit non dev'essere un'opportunità per l'Unione Europea di incassare un po' di soldi facili e nemmeno un'opportunità per il Regno Unito di non farsi carico dei costi diretti della sua decisione per l'Unione.
Accordo a interim
Se da un lato è più che giusto che Londra paghi i costi della Brexit, dall'altro non sarebbe giusto che Bruxelles estorcesse soldi a Londra per concedere l'accesso al mercato. Fortunatamente, c'è un'ampia scelta di numeri tra 0 e 60 miliardi.
Le due parti hanno a disposizione 18 mesi per discutere i dettagli della procedura di uscita regolata dall'articolo 50. Non includerà un accordo commerciale, solo le condizioni del divorzio. Separatamente, l'Unione Europea e il Regno Unito negozieranno un accordo ad interim che rimarrebbe in vigore fino al momento di negoziare e ratificare un patto commerciale finale. L'accordo ad interim entrerebbe in vigore dal momento in cui la Brexit assumerà valore legale.
Entrambi hanno più da perdere
Sarebbe sconsiderato pronosticare che tutto andrà liscio. Al contrario: sarà una battaglia aspra e combattuta come tutte le battaglie importanti del passato. Quello che vedo, però, è che entrambe le parti hanno più da perdere che da guadagnare, e questo prevale sull'osservazione che Londra, in proporzione, ha più da perdere di Bruxelles: ovviamente è vero, ma non è fondamentale. Molto più importante è il fatto che il Regno Unito è parte integrante delle catene logistiche dell'industria automobilistica europea, specialmente ora che la Peugeot ha acquistato la Vauxhall e la Opel. L'industria automobilistica troverà un modo per convivere con la Brexit, ma non potrebbe sopportare una rottura improvvisa.
Perciò, la prossima volta che sentirete qualcuno dire che l'Unione Europea è in una posizione negoziale più forte, ricordatevi semplicemente che quel qualcuno non è consapevole di queste catene logistiche industriali e degli altri collegamenti stretti che esistono fra il Regno Unito e l'Unione Europea: nella collaborazione in materia di sicurezza e difesa e nel coordinamento della politica economica a livello di G7 e G20. Il Regno Unito non scomparirà come per magia, dopo la Brexit.
Punire Londra per educare gli altri è una sciocchezza
Quanto all'argomento estremo, quello secondo cui l'Unione Europea dovrebbe punire il Regno Unito per disincentivare altri Paesi tentati dall'uscita, è una sciocchezza assoluta. Non mi viene in mente un solo Paese che sia anche lontanamente prossimo all'uscita. Il Paese più isolato all'interno dell'Unione Europea è la Polonia, ma il suo elettorato rimane larghissimamente in favore di una permanenza. I paesi nordici probabilmente hanno perso l'entusiasmo di un tempo per l'integrazione europea, ma nessuno di loro sta neanche lontanamente prendendo in considerazione l'idea di uscire. Le elezioni della scorsa settimana in Olanda hanno messo fine a qualsiasi timore, o speranza, di una Nexit. Un'uscita dall'euro è un altro discorso, ma in ogni caso non c'è una fila di Paesi pronti a lasciare l'Unione. La situazione potrebbe cambiare se la Francia eleggesse Marine Le Pen, ma in un modo o nell'altro non penso che succederà.
Qualsiasi processo politico è a rischio di incidenti, ma, per quanto mi sforzi, non riesco a trovare nessun ostacolo insormontabile a un accordo. Il mio consiglio, specialmente per i sostenitori arrabbiati del Remain, è di fare un respiro profondo, accettare il fatto che la Brexit ci sarà e concentrarsi sul modo migliore per ricostruire il rapporto con l'Unione Europea dopo la Brexit. C'è molto per cui giocare.
(c) 2017 The Financial Times Limited
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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