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Spagna immune dal virus xenofobo

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L'Analisi|Scenari

Spagna immune dal virus xenofobo

In Spagna non esiste una destra xenofoba. Eppure dall’inizio della grande crisi economica, ormai dieci anni fa, nel Paese iberico si sono sommate le condizioni ideali per far crescere i movimenti nazionalisti e neofascisti. Come disuguaglianze economiche e sociali; aumento dei flussi migratori (o della loro percezione); sentimento di sfiducia e avversione nei confronti delle politica e delle istituzioni. «È l’eccezione spagnola», spiega Carmen Gonzales-Enriquez, capo delle ricerca su opinione pubblica e migrazione al Real Instituto Elcano. «Nonostante le difficoltà causate dalla crisi economica – continua la studiosa – l’estrema destra non è riuscita a conquistare spazio. La retorica nazionalista che ha portato grandi consensi in altri contesti europei, in Spagna non ha funzionato».

Non c’è una destra estrema alla vecchia maniera come il Front national di Marine Le Pen, non ci sono movimenti anti-Islam come quello di Geert Wilders in Olanda, non esiste nemmeno un partito imprevedibile e qualunquista come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, non si vedono derive sovraniste ed euroscettiche come in Ungheria o in Polonia. E un’Alba dorata in Parlamento come in Grecia per gli spagnoli non è immaginabile. A Madrid nessuna forza politica – nemmeno un movimento nato dalla protesta e anti-sistema per definizione come Podemos – vuole disfare l’Europa. E anche i cosiddetti nazionalisti della Catalogna (o dei Paesi Baschi) si battono contro Madrid non certo contro Bruxelles.

Ma perché la Spagna sembra essere immune dal populismo di destra e dai nazionalismi che si stanno affermando in Europa, anche attaccando la Ue? «La particolarità spagnola – dice ancora la scienziata sociale – deriva dall’esperienza vissuta dal Paese sotto il regime di Franco, nel quale l’abuso dei simboli nazionali e il continuo riferimento all’identità nazionale sono ancora ben presenti nella memoria delle persone e vengono respinti dalla grande maggioranza dell’opinione pubblica».

La dittatura e i suoi simboli sono dunque troppo recenti perché qualche partito possa utilizzarli per trarne vantaggio. E l’identità nazionale debole viene schiacciata anche dai nazionalismi regionali, questi fortissimi, che almeno fin qui – nonostante il terrorismo basco e le rivendicazioni catalane – hanno trovato un equilibrio all’interno della Spagna moderata e centrista. «Un lungo passato autoritario e nazionalista – afferma Carmen Gonzales-Enriquez – agisce nel presente come un vaccino contro i partiti di estrema destra. La Spagna e il Portogallo hanno condiviso per quasi quattro decadi un’esperienza simile di nazionalismo, cattolicesimo e autoritarismo corporativista. Ed entrambi i Paesi si sono dimostrati immuni fino a ora da questa ondata di partiti populisti di destra, nonostante la grave crisi». È questa la principale conclusione alla quale arriva Carmen Gonzales-Enriquez nello studio La excepcion espanola: el fracaso de los grupos de extrema derecha pese al paro, la desigualdad y una alta inmigracion, realizzato dal Real Instituto Elcano e inserito in un progetto europeo coordinato dal think tank britannico Demos.

Ed è grazie a questa «immunità» che la Spagna ha potuto resistere a condizioni avverse pesantissime. A partire dal 2007, con la grande crisi finanziaria e lo scoppio della bolla immobiliare, sono stati distrutti oltre tre milioni di posti di lavoro; la disoccupazione è salita dall’8% al 26% nel 2013; in sei anni il Pil è crollato dell’8,9 per cento. La povertà e le disuguaglianze tra gruppi sociali sono aumentate di conseguenza. La Spagna è stata il punto d’arrivo di notevoli flussi di migranti – la seconda condizione che favorisce le soluzioni tanto sbrigative quanto estreme della destra populista – tanto che la popolazione residente proveniente dall’estero è passata dal 3% del 1998 al 14% del 2012.

Gli scandali di corruzione hanno colpito la il sistema di potere che governa lo Stato e le regioni, senza risparmiare alcun partito, di destra, di sinistra, unionista o separatista. Eppure in Spagna queste tre condizioni hanno fatto crescere qualcosa di diverso e mai hanno alimentato il consenso della destra reazionaria. Il conflitto sociale è rimasto contenuto, anche nei confronti dei migranti, mentre nella rivoluzione politica che ha travolto il sistema di potere di Socialisti e Popolari si sono sviluppati due movimenti di protesta diversissimi, ma non euroscettici e non xenofobi: Ciudadanos da posizioni di centro e unioniste in Catalogna; Podemos da sinistra con alcune proposte vicine al populismo.

«Podemos – dice Jorge Galindo, sociologo dell’Università di Ginevra – ha disattivato le risposte della destra sfruttando la specificità della crisi economica e sociale e quella del welfare spagnolo. La classe operaia industriale o dei servizi e la piccola borghesia non sono state le più colpite dalla recessione. A soffrire in modo più grave la crisi sono stati i giovani con livello di istruzione superiore alla media del Paese e i gruppi più vulnerabili come i migranti e i lavoratori precari: perdendo benefici materiali o vedendo sparire le proprie aspettative per il futuro. Nessuno di questi segmenti della popolazione costituisce una fonte di sostegno facile per la destra estrema, per mancanza di strumenti di mobilitazione politica o per incompatibilità ideologica. Sono invece una base formidabile per la protesta di Podemos».

Ignacio Varela, sociologo di area socialista, guarda con attenzione a come si è formata la destra conservatrice del Partito popolare che oggi governa con Mariano Rajoy. «Nella società spagnola ci sono persone di estrema destra come in tutti i Paesi europei. Ci sono spagnoli ancora molto legati al Franchismo, ci sono xenofobia, nazionalismo, autoritarismo, antieuropeismo, chiusura alla diversità. In più la Spagna sente più di altri l’influenza del nazional-cattolicesimo ma – afferma Varela – il particolare processo di riorganizzazione della destra spagnola durante la Transizione ha portato l’attuale Partito popolare a inglobare e smorzare gran parte dell’eredità estrema del Franchismo».

Per Javier Redondo, professore di Scienze politiche e sociologia all’Università Carlos III di Madrid, «il populismo nell’Europa del Sud è destinato ad assumere tratti di sinistra» e in questo sta la differenza tra la Spagna e altri Paesi più a Nord o più a Est: «Dove i partiti comunisti ebbero notevole forza dopo la seconda guerra mondiale anche battendosi contro le dittature, come nei Paesi del Sud, la contrapposizione – dice Redondo – avviene in termini di classe sociale, mentre nei Paesi del Nord lo scontro è culturale e per questo il populismo ha a volte carattere identitario».

Tra differenze culturali e specificità nazionali, intanto l’economia spagnola dopo una doppia recessione, durata quasi cinque anni, è tornata a correre a ritmi del 3% all’anno, più di ogni altro Paese dell’Eurozona. Facendo scendere la disoccupazione e cadere le condizioni necessarie allo sviluppo di formazioni di estrema destra. Anche la capacità di rialzarsi in fretta dopo aver toccato il fondo è parte dell’«eccezione spagnola».

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