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Referendum sull’euro, quello che Di Maio non dice (o forse non…

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L'Analisi|le idee del m5s

Referendum sull’euro, quello che Di Maio non dice (o forse non sa)

Immaginatevi una lista di buoni propositi per il nuovo anno come questa:
1) non mangiare più cioccolata;
2) divorziare.
La trovereste assurda, giustamente. Se aveste veramente intenzione di divorziare, non lo appuntereste di certo in una lista. E anche se foste così pedanti, non mettereste il divorzio al secondo posto.

Ma è esattamente così che i populisti in Francia e in Italia hanno definito la loro linea programmatica sull’euro: sembrano essere a favore di un’uscita, ma vogliono temporeggiare un po’ e rimettere tutto a una consultazione referendaria. E questo ci fa capire quanto Marine Le Pen e Beppe Grillo, i leader del Front National in Francia e del Movimento Cinque Stelle in Italia, siano del tutto impreparati ad andare al governo. Più che degli estremisti, sono dei ciarlatani.

In Francia e in Italia avrebbero potuto aprire un dibattito intellettuale sull’argomento, per quanto non sia facile, ma né Grillo né Le Pen lo hanno fatto. Se hanno veramente intenzione di uscire dall’euro, devono capire che non sarà una passeggiata, che sarà la prova che qualificherà il loro mandato e che per diversi anni non faranno altro. Un’uscita dall’euro è molto più delicata di una Brexit che sta assorbendo completamente il governo del Regno Unito.

Se Francia e Italia uscissero dalla moneta unica, si verificherebbe il più grande default di tutta la storia dell’umanità, con crac bancari in tutta Europa. La coesione dell’Eurozona vacillerebbe e l’euro stesso verrebbe messo a repentaglio. Uscire dall’euro potrebbe rivelarsi complesso e rischioso quanto entrare in guerra. Servirebbero controlli alle frontiere per impedire che la gente portasse gli euro fuori dal Paese, la polizia dovrebbe reprimere sommosse popolari e prevedere un’operazione in stile militare solo per la garantire la logistica. Ci avete pensato? Non ci sono strade possibili per un’uscita ordinata dall’euro, a livello legale nemmeno una. Pensate all’uscita dall’euro come a un golpe militare, un cambiamento in un fine settimana con tanto di carri armati per le strade.

Io sono stupefatto quando sento Luigi Di Maio – il probabile premier se dovessero vincere i Cinque Stelle – dire che il referendum sull’euro è la seconda priorità del suo partito. La prima è la lotta alla povertà. In altre parole, Di Maio smette di mangiare cioccolata prima di divorziare da sua moglie. O non dice la verità o come è più probabile, non è pronto per governare. Di Maio ha solo trent’anni. Quando nel 1992, l’Italia fu costretta con il Regno Unito a uscire dal Meccanismo di cambio europeo, Di Maio ne aveva sei. E chiunque abbia vissuto quel periodo sa che un cambio di regime monetario è traumatico e che l’uscita dell’Italia dal Meccanismo di cambio europeo non è niente rispetto a un’uscita dall’euro.

Mettetevi nei panni di un investitore straniero. Se si aspetta che l’Italia traduca il suo debito in una nuova moneta, chiamiamola lira, quella nuova moneta si svaluterebbe. Cosa accadrebbe ai rendimenti dei titoli sovrani italiani, poniamo un decennale con un rendimento del 2 per cento? Se un investitore si aspetta una svalutazione del 40%, il rendimento potrebbe schizzare al 6 per cento.

Gli investitori non aspetterebbero fino al referendum. Una volta appurata l’elezione di Di Maio a primo ministro, qualsiasi investitore raziocinante prevederebbe un voto a favore di un’uscita dall’euro, farebbe una stima della svalutazione e calcolerebbe quanto dovrebbe salire il rendimento in quel momento per neutralizzare una futura ridenominazione. La sera delle elezioni, Di Maio si troverebbe a fronteggiare un fuggi fuggi dal sistema finanziario italiano e il mattino dopo le banche si troverebbero insolventi. Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, non garantirebbe un «whatever it takes», ovvero non farebbe di tutto per sostenere l’euro con un politico che minaccia di indire un referendum del genere. Di Maio avrebbe al massimo ventiquattro ore di tempo per rinunciare all’incarico o per annullare il voto.

C’è stato un momento in cui la Grecia aveva accarezzato l’idea di una valuta parallela durante la Primavera di Atene nel 2015, ma per il primo ministro Alexis Tsipras era troppo rischioso. E non mi pare che Le Pen, Grillo o Di Maio siano molto più convinti di Tsipras.

La mia previsione è la seguente: se l’Italia, la Francia o qualsiasi altro Paese dovessero uscire dall’euro, non sarebbe per un referendum, ma per una disgrazia. E la cattiva notizia è che le disgrazie, lo sappiamo purtroppo, capitano.

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