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L’irresistibile (e falso) storytelling protezionista

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Scenari

L’irresistibile (e falso) storytelling protezionista

Nel primo dibattito presidenziale francese la candidata del Front National Marine Le Pen, a sorpresa, ha proiettato un grafico dove fa vedere che la produzione industriale dell’Europa del sud, Francia inclusa, è caduta dopo l’introduzione dell’euro. È un grafico semplice ed evocativo. Avrà convinto diversi elettori che l’euro è responsabile della disoccupazione al sud, a beneficio della corazzata tedesca. Naturalmente il messaggio veicolato è volutamente tendenzioso. La caduta della produzione industriale non può essere ricondotta all’euro, ma a una serie complessa di fattori come il progresso tecnico, la concorrenza dei Paesi emergenti, il crollo della domanda in seguito alla crisi finanziaria e così via. Ma provare ad argomentare che il messaggio è tendenzioso con le leve della ragione è una missione impossibile, troppo complessa, che annoierebbe gran parte dell’elettorato rendendolo, se possibile, ancor più scettico sui benefici dell’euro.

Una delle ragioni della crescente ondata protezionistica o anti Europa è proprio il fatto che spiegare i benefici delle complesse architetture istituzionali che governano la globalizzazione e l’integrazione economica, dall’euro al libero scambio, è molto, forse troppo complesso. Al contrario il messaggio contro, il messaggio che si rivolge al disagio e alle frustrazioni dei cittadini occidentali, che identifica queste istituzioni come causa del disagio stesso, trasformandole in capri espiatori, è molto più semplice.

Per questo le grandi organizzazioni multilaterali (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Organizzazione mondiale del commercio) sono scese in campo nei giorni scorsi a Berlino, cimentandosi in un esercizio di comunicazione a difesa del libero commercio, contro la deriva protezionista che cova nel mondo occidentale (si veda Il Sole 24 ore, 11 aprile). L’esercizio, per quanto molto importante, utile e condotto nel modo più efficace possibile, si scontra con la difficoltà del compito, appunto spiegare in modo convincente, semplice e chiaro che il protezionismo sarebbe davvero nefasto per tutti.

L’argomento retorico fondamentale utilizzato è la globalizzazione dal volto umano. Ossia, è vero, la globalizzazione genera ricchezza, ma anche perdenti e disagi sociali: persone espulse dal lavoro; crescita della disuguaglianza; aziende che chiudono. Attenzione, già accettare esplicitamente questa diagnosi vuol dire mettersi le scarpe della retorica populista. Questa relazione di causa è nell’analisi economica rigorosa ancora piuttosto blanda e come detto sopra si confonde la globalizzazione in una serie di altre concause. Comunque, se questa è la diagnosi condivisa, che avvicina le eteree istituzioni multilaterali alla pancia populista, la cura proposta è ben diversa dal protezionismo alla Marine Le Pen o alla Donald Trump. Gli organismi internazionali dicono, e a ragione, che non bisogna assolutamente alzare barriere commerciali. Dimostrano anche che queste danneggiano i consumatori più poveri. Propongono, invece, politiche fiscali redistributive mirate a sostenere i perdenti e soprattutto politiche che riqualifichino i lavoratori per spostarli su attività e settori più competitivi.

Hanno ragione, in questo modo si preservano i benefici dell’integrazione globale sulla crescita e se ne riducono i probabili effetti negativi. Ma da un punto di visa retorico rischiano ancora una volta di perdere la partita. È molto più complesso spiegare che è bene tenere in piedi un sistema economico che ha anche effetti negativi, usando altre leve di politica economica per compensare questi effetti negativi (le politiche di redistribuzione o di ricollocamento), piuttosto che eliminare il problema alla radice e modificare il sistema (protezionismo).

Il connubio tra libero scambio e reti di protezione per i perdenti non riguarda solo la globalizzazione, ma è al cuore, anche se con enfasi diversa, di tutte le strategie di politica economica liberal democratiche e delle economie di mercato. Sostenere che siccome la globalizzazione è ingiusta bisogna abolirla equivale a sostenere che siccome il mercato è crudele bisogna abolire la proprietà privata. Per questo oramai le posizioni di estrema destra e quelle di estrema sinistra parlano allo stesso elettorato di esclusi. E per questo la deriva protezionista è assai pericolosa. Fermarla è una battaglia difficilissima sul terreno delle idee e soprattutto della comunicazione.

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