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Dossier Con l’euro più concorrenza

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    Dossier | N. 22 articoliAlla luce del sole

    Con l’euro più concorrenza

    (Reuters)
    (Reuters)

    Molti di noi conservano ricordi affettuosi dell’epoca prima dell’euro. Io frequentavo il liceo in Germania, alla fine degli anni 90, e ricordo che passavo lunghe giornate al lago e serate con gli amici nelle birrerie all’aperto. Non ho memoria di preoccupazioni legate agli esami, i soldi o il lavoro. Nei miei ricordi era un periodo di completa felicità. Ho dimenticato tutti gli stress e le angosce dell’adolescenza, la crisi economica di fine anni 90 in Germania e il fatto che molti dei miei compagni di classe erano preoccupati di non riuscire a trovare un impiego redditizio. Mi sono convinto che perfino il tempo era migliore allora.

    La nostalgia per il marco e per la lira è molto simile alla nostalgia per i telefoni cellulari che usavamo allora, quelli grossi e ingombranti come un mattone: è divertente da rievocare, ma non vorremmo realmente tornare a quei tempi.

    Ma che cosa ha fatto l’euro per voi?

    Il beneficio più tangibile di avere l’euro sono i prezzi più bassi per le cose che compriamo ogni giorno. Quando possono, le aziende amano incrementare i loro profitti facendo pagare prezzi diversi a persone diverse per lo stesso prodotto. Per esempio, se un nuovo giocattolo è popolare nella scuola di vostro figlio, il produttore potrebbe decidere di farlo pagare di più lì, ma di venderlo a un prezzo più basso in un’altra scuola dove i bambini più cool non sono ancora stati conquistati dal gioco. Questa differenziazione dei prezzi è molto più facile da mettere in atto quando per le persone è più complicato confrontare prezzi espressi in valute diverse.

    Il mio collega Brent Neiman ha pubblicato di recente uno studio a più mani che confronta i prezzi di beni di consumo di aziende come H&M, Zara e Ikea nei vari Paesi europei. Il risultato è che queste aziende applicano sostanzialmente lo stesso prezzo per lo stesso prodotto in tutti i Paesi della zona euro, ma applicano prezzi molto diversi (e in media più alti) per gli stessi prodotti in Paesi che non adottano la moneta unica, come la Danimarca, la Svezia e la Norvegia. Non essendo facile confrontare i prezzi espressi in corone svedesi con quelli espressi in euro, H&M può sfruttare il fatto che gli svedesi preferiscono (per fare un esempio) i jeans neri a quelli blu, e far pagare di più le cose che tirano di più. Mediamente, i prezzi di centinaia di migliaia di prodotti presi in esame nello studio sono più alti del 16% in Svezia, e del 22% in Norvegia, rispetto alla zona euro. Questo è l’effetto dell’euro e della trasparenza che crea.

    Alcune delle mie ricerche si sono concentrate su un effetto simile per quanto riguarda i costi di indebitamento. L’euro è usato da 340 milioni di persone, perciò gli investitori di tutto il mondo preferiscono investire soldi e concedere prestiti denominati in euro che in valute di Paesi più piccoli. In questo senso, le dimensioni portano stabilità: l’euro e il dollaro sono considerati dagli investitori valute più sicure di quanto sia mai stata la lira, e perfino il marco tedesco. Essendo una valuta più sicura, l’introduzione dell’euro ha ridotto i tassi di interesse «privi di rischio» (cioè i tassi di interesse corretti per il rischio di insolvenza) in tutti i Paesi membri di circa 1,7 punti percentuali rispetto al dollaro statunitense. Questi costi di indebitamento più bassi rendono più attraente investire nella zona euro, e più capitali significano salari più alti per i lavoratori.

    Al tempo stesso, il calo dei costi di indebitamento ha reso più semplice per Paesi pesantemente indebitati come l’Italia finanziare il proprio debito pubblico. Questi effetti di vastissima portata dell’euro sono spesso trascurati, perché i politici si concentrano principalmente sulla differenza di tassi di interesse tra gli Stati membri. Invece il quadro generale è che la moneta unica ha reso più semplice (troppo semplice, dice qualcuno) per tutti i Governi europei finanziare il proprio debito. L’idea che l’Italia, non si capisce bene perché, potrebbe prendere in prestito somme maggiori se avesse una sua valuta è pura fantasia e non ha nessuna base concreta.

    Detto questo, l’euro rende la vita più dura ai politici. Una strategia un tempo molto popolare tra alcuni politici del Sud Europa era quella di prendere in prestito più soldi che potevano (in gran parte dai loro stessi cittadini) e poi, zitti zitti, non restituirli stampando moneta, creando inflazione e innescando una crisi valutaria. Ora non è più possibile, perché la Bce ha sottratto ai politici la facoltà di stampare moneta e questi ultimi devono impegnarsi nel difficile compito di correggere i fondamentali dell’economia italiana. Non è divertente, ma è necessario, se si vuole garantire la prosperità dell’Italia nei decenni a venire e ridare lavoro ai giovani.

    A prescindere dall’esito di questi tentativi politici, non riesco a immaginare nessuno scenario in cui l’Italia possa passarsela meglio fuori dall’euro, anche se, per qualche strana ragione, andarsene fosse semplice. (In realtà ogni tentativo di abbandonare l’euro avrebbe costi politici ed economici colossali, che superano lo spazio a disposizione per questo articolo).

    Va tutto alla perfezione con l’euro? Assolutamente no. Ci sono delle cose che potrebbero e dovrebbero essere migliorate. Per esempio sono convinto che la Bce dovrebbe portare il suo obiettivo di inflazione al 3 o magari al 4%, per aiutare l’Italia e altri Paesi a «svalutare», vale a dire consentire ai salari reali italiani di deprezzarsi rispetto a quelli degli altri membri dell’Eurozona. Un po’ di inflazione può aiutare a operare questi aggiustamenti, perché è molto difficile tagliare i salari e i prezzi nominali (è una cosa che le persone odiano fare). Alzare l’obiettivo di inflazione consente di realizzare gli stessi benefici di una svalutazione nominale (che accadrebbe se l’Italia avesse una sua valuta e quella valuta si deprezzasse rispetto all’euro), ma senza dover provocare una crisi valutaria con tutti gli sconvolgimenti e costi economici che ne conseguono. A mio parere, questo tipo di aggiustamento attraverso l’inflazione aiuterebbe un po’ nel breve periodo. Nel lungo periodo l’unica soluzione per i problemi dell’Italia sono le riforme strutturali che ho menzionato prima e che anche altri autori hanno raccomandato in questa serie di articoli.

    Bibliografia

    Alberto Cavallo, Brent Neiman e Roberto Rigobón (2014),«Currency Unions, Product Introductions, and the Real Exchange Rate», The Quarterly Journal of Economics, 129 (2), pp. 529-595.

    Tarek A. Hassan (2013), «Country Size, Currency Unions, and International Asset Returns», The Journal of Finance, 68 (6), pp. 2269-2308.

    Tarek A. Hassan, Thomas M. Mertens e Tony Zhang (2016),«Not so Disconnected: Exchange Rates and the Capital Stock», Journal of International Economics, 99, pp. S43-S57.

    Carmen M. Reinhart e Kenneth S. Rogoff (2009),Questa volta è diverso: otto secoli di follia finanziaria, Il Saggiatore, Milano 2010.

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