La fine della recessione è arrivata a sorpresa, e senza trionfalismi. Dopo sette trimestri consecutivi di contrazioni, a fine 2016 l’economia russa è tornata a crescere (+0,3%).
Per il primo trimestre di quest’anno la Banca centrale ipotizza un dato tra +0,4 e +0,7%, confermando così che il declino si è fermato: la crisi 2015/2016 è alle spalle. Complice un cambio di classificazione statistica da parte di Rosstat, che ha adottato metodologie europee, il -3,7% del 2015 è stato ridimensionato a -2,8%, il calo del 2016 si è limitato a un -0,2, mentre quest’anno - a seconda della prudenza degli analisti - la ripresa del Pil si dovrebbe collocare tra il +0,75% ipotizzato dall’Ocse e il 2% del ministero russo dell’Economia.
Serghej Guriev, fino al 2013 rettore della Nuova Scuola Economica di Mosca, emigrato in Francia e oggi capo economista per la Bers (la Banca per la ricostruzione e lo sviluppo in Europa), la chiama «transizione da una recessione alla stagnazione», ed effettivamente nessuno si aspetta grandi slanci, malgrado il peggio sembri passato. Diversi indicatori migliorano, altri si stabilizzano o rallentano le perdite: anche in settori che non riguardano l’energia, elemento importantissimo per le prospettive di lungo termine in un’economia da diversificare.
La grande sfida è dare forza alla ripresa. Che cosa l’ha resa possibile?
Il punto di partenza è sempre il petrolio, con prezzi globali in aumento - anche qui senza grossi slanci - ma sufficienti a ridare margini di manovra ai conti pubblici russi. Che già erano stati forzatamente aiutati dall’indebolimento del rublo, che ha tradotto in maggiori entrate i guadagni in dollari dei grandi esportatori di petrolio e gas. Un rublo debole e la conseguente inflazione hanno però infierito sul potere d’acquisto dei russi, ed è stato anche il loro “stringere la cinghia” a permettere alla bilancia dei pagamenti di stabilizzarsi.
Il calo delle importazioni ha messo l’accento sulla necessità di sviluppare la produzione in loco: alcuni settori - per esempio agroalimentare e chimica - ne approfittano per migliorare e sostituirsi all’import. Ma ora, con la ripresa del petrolio che risolleva il rublo, è cruciale che siano gli investimenti nell’industria e la domanda dei consumatori a riprendersi. In passato, le colonne della crescita sono stati loro.
«Nel quarto trimestre (2016) il contributo più consistente all’attività economica è venuto dalle esportazioni, con la spesa delle famiglie e gli investimenti ancora in contrazione», sintetizza Coface, l’agenzia francese di assicurazione dei crediti alle imprese. Persiste la cautela, in uno scenario tuttora ingombrato dalle sanzioni che frenano anche i progetti di investimento non direttamente interessati dalle restrizioni, oltre a impedire alle aziende russe di finanziarsi all’estero.
E tuttavia, l’economia russa prova ad adattarsi: «Il nuovo mantra è la “localizzazione”», spiega Chris Weafer, senior partner di Macro-Advisory: sono la svalutazione del rublo e l’import substitution a trainare la crescita. Una crescita disuguale, però, che lascia in recessione intere regioni e settori come le costruzioni. Per ritrovare i redditi delle famiglie ai livelli pre-2014, concordano gli economisti, ci vorranno anni. Mentre al percorso a ostacoli cui fanno fronte quotidianamente piccole e medie imprese continua a fare da contrappeso il ruolo preponderante dello Stato nell’economia.
La notizia migliore per i consumatori, anche in questo caso un po’ inattesa, è stato il calo dell’inflazione innescato dal rafforzamento del rublo. In aprile l’indice dei prezzi è sceso al 4,1%, ai minimi dal 2003 e già a un passo dall’obiettivo che la Banca centrale di Elvira Nabiullina si era data per fine anno. Cosa che l’ha finalmente convinta a ridurre il costo del denaro in due tappe, cui ne seguirà probabilmente una terza che potrebbe portare i tassi di interesse dal 9,25 verso l’8% per cento.
Un equilibrio molto delicato da gestire. «Il rublo più forte ha ridotto l’inflazione, che ha raggiunto il target del 4% prima del previsto - ha detto il chief economist Guriev la settimana scorsa al meeting annuale della Bers, a Cipro -. Ma come tutti i ministeri delle Finanze, anche quello russo preferisce una valuta debole». Nello stesso tempo, il governo sta discutendo una revisione della politica fiscale che riduca l’impatto dei prezzi delle materie prime sul bilancio federale. «Un calo moderato del petrolio, nell’area dei 40 dollari al barile, genererà un problema solo temporaneo - spiega Guriev -. Ma se i prezzi dovessero scendere a 30/25 dollari come un anno fa, avranno bisogno di adottare ulteriori misure di austerità».
La conclusione spetta alla presidente della Banca centrale russa: «Possiamo parlare dell’inizio di un nuovo ciclo economico - ha detto Elvira Nabiullina a fine marzo -: la recessione è finita.
Ci sono segnali di rinascita della domanda», anche se lenta e a strappi. Del resto, era stata la stessa Nabiullina, un anno fa, ad avvertire: «Anche se il petrolio fosse a 100 dollari, la Russia non potrebbe crescere più dell’1,5 o del 2% (l’anno) senza riforme strutturali e un miglioramento del clima per gli investimenti». È la stessa conclusione cui è giunta la Bers: per la Russia «i rischi principali vengono dall’andamento del petrolio, dalla mancanza di riforme a sostegno degli investimenti, dalle tensioni geopolitiche e il prolungamento delle sanzioni. Senza riforme significative, la crescita a lungo termine resterà intorno all’1-2% annuo».
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