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La svolta di Berlino sulla politica di coesione

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La svolta di Berlino sulla politica di coesione

Considerata finora un duro avversario, la Germania diventa un po’ a sorpresa “paladina” dei fondi strutturali della Ue. Il position paper sul futuro della politica di Coesione approvato dal governo federale tedesco e trasmesso a Bruxelles in vista della discussione del Quadro finanziario pluriennale post-2020 (Mff), esprime una posizione molto favorevole a una delle politiche principali dell’Unione. Non era affatto scontato per un grande contributore netto del budget europeo, su una politica di cui beneficiano soprattutto altri.

Nelle otto pagine del documento – che sta facendo discutere tra Commissione e cancellerie - non si prende posizione sulla quantità di risorse che dovranno essere destinate ai fondi strutturali, in un bilancio che con Brexit sarà inevitabilmente ridimensionato. Tuttavia si riconosce e si sottolinea il ruolo fondamentale degli investimenti strutturali per rafforzare la coesione territoriale nell’Unione europea, come «espressione visibile di solidarietà all’interno dell’Unione» che «attraverso vari progetti in tutti gli Stati membri e in tutte le regioni permette ai cittadini di avere un’esperienza positiva dell’Europa».

Fatta questa premessa, sono almeno tre i punti-chiave che sanciscono questa svolta.

1) Il primo è il rafforzamento del legame tra fondi strutturali e semestre europeo, quindi con le raccomandazioni specifiche per Paese; secondo il governo tedesco «la Commissione in futuro dovrebbe usare questo strumento in modo più deciso per assicurare una considerazione più mirata e coerente di tali raccomandazioni nell’uso dei fondi. Questa “condizionalità ex-ante” esiste già, Berlino pare voglia rafforzarla, non è chiaro fino a che punto. La conseguenza “politica” è che la Coesione, verrebbe incardinata nella governance economica, acquisendo ancora più peso negli equilibri comunitari.

2) Il secondo punto riguarda la distribuzione delle risorse alle regioni: il documento propone un modello lineare che superi quello attuale basato su tre categorie (più sviluppate, in transizione e meno sviluppate); le risorse sarebbero assegnate a “tutte le regioni” sempre in base al Pil procapite, ma aumenterebbero progressivamente man mano che l’indicatore si allontana dalla media Ue.

3) La Germania chiede poi un forte snellimento della gestione dei fondi, con un approccio «differenziato nei requisiti di gestione della programmazione e del monitoraggio dei fondi Ue». L’idea di fondo è che i controlli siano meno pesanti per i Paesi che si dimostrano più affidabili nella gestione delle risorse. Inoltre, la Germania vorrebbe “armonizzare” i regolamenti di tutti i fondi.

Dunque, resta – sgradita a molti, a cominciare dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker – la condizionalità macroeconomica già prevista nel regolamento dell’attuale programmazione e si aggiunge la proposta della condizionalità della “rule of law” a cui ha fatto riferimento anche il Governo italiano (si veda Il Sole 24 Ore del 13 aprile scorso) che chiede la sospensione dei fondi strutturali per gli Stati membri che non rispettano i principi fondanti dell’Unione, tra cui – sostiene l’Italia - il dovere di accoglienza nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Berlino non cita espressamente la questione migranti, ma afferma il principio. E nell’auspicare una maggiore flessibilità dei regolamenti per affrontare le “nuove sfide” dell’Europa, cita l’integrazione dei rifugiati. Tra i contrari alla condizionalità, si tratti di macroeconomia o di migranti, c’è il Comitato delle regioni (si veda Ilsole24ore.com).

Un altro punto rilevante della posizione tedesca riguarda la capacità di assorbimento delle risorse: «Bisognerebbe tenerne conto quando si assegnano i fondi», un avvertimento a chi, come l’Italia, finora ha fatto fatica a spendere i soldi europei. Nella stessa logica va la proposta di tornare alla regola “N+2”, che consente di spendere i fondi entro due anni, e non più 3, dalla fine del periodo di programmazione. Berlino chiede di riportare a il cofinanziamento nazionale, ridotto negli anni della crisi, ai livelli precedenti.

A Bruxelles la posizione tedesca è stata accolta con stupita soddisfazione: si temeva una richiesta di tagli consistenti. In realtà, c’è più di una spiegazione al cambio di passo. Oltre ai benefici economici che “tornano” nei Paesi contributori netti come la Germania grazie alla spesa dei fondi (si veda articolo in pagina), pesa anche il fatto che a predisporre il position paper tedesco non è stato il ministero delle Finanze, guidato dal rigorista Wolfang Schauble, ma quello dell’Economia, affidato al socialdemocratico Sigmar Gabriel. Miracoli della Große Koalition.

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